Cappuccetto Rosso deve morire
CONCLUSIONE
16 giugno 2009
Libero come Scirea
La mattinata era splendida. È il bello della vita: se ne fotte di tutto e tutti e continua come sempre, se deve brillare brilla e sennò pazienza.
Il Commissario stava con la sua microborsa davanti all’ingresso del Villaggio aspettando che l’Ispettore arrivasse con l’auto per le sette, come avevano concordato. Ormai poteva tornarsene al suo commissariato. Non c’era più nulla da cercare in quel posto, ma le cose che aveva visto ancora lo turbavano. Ora, la prospettiva di rimanere in provincia, lontano da ogni turbamento metropolitano, gli sembrava un premio più che una condizione a cui rassegnarsi.
Quasi quasi riusciva, facendo molta attenzione, a sentire il vocio all’interno del Villaggio: un brusio da coro greco o da congiura cesariana.
Si mise un mezzo sigaro all’angolo della bocca, quindi se lo accese, tirò una boccata, la liberò e quindi pensò “Ma poi... a che scopo?”.
Quando finalmente l’Ispettore arrivò, il sigaro era quasi finito e la pazienza del Commissario pure: basta, ora voleva tornare a casa.
Stava salendo sulla macchina che l’avrebbe portato in centrale, dove, in cinque minuti (perché le idee le aveva ben chiare), avrebbe redatto un bel verbale, asciutto e incisivo in cui avrebbe scritto che Marco Lagri era morto a causa della caduta. Si figurava questo quando alle sue spalle:
«Me lo dà uno strappo, Commissario?».
«Certo, venga».
Labile mise nel portabagagli la propria valigia e salì dietro insieme al Commissario.
«Allora è proprio finita?».
«A quanto pare sì».
«Dove andiamo dottor Labile?» chiese l’Ispettore.
«All’aeroporto, per favore. Se ovviamente non vi porta troppo fuori strada».
«Non si preoccupi: così possiamo fare ancora due chiacchiere» concluse il Commissario.
Le ruote della macchina alzavano tantissima polvere, una sorta di tempesta incombente e indecisa. Il Commissario era pensieroso, visibilmente distratto, perché qualcosa ancora non riusciva ad andare per il verso giusto. Lui lo sapeva, lo aveva visto, distintamente, come vedeva Labile in quel momento: sul display del cellulare di Lagri era stato composto – e solo composto, senza che poi fosse stato premuto il verde – il numero 118. Quindi Lagri stava per chiamare i soccorsi, stava per chiedere l’aiuto di qualcuno. Sì, però, poteva anche darsi, più semplicemente, che mentre moriva aveva avuto un momento di paura e ci avesse ripensato, ma senza poi avere il coraggio di diventare vigliacco fino in fondo.
No, si diceva il Commissario, non poteva essere così: Lagri era già un vigliacco, non si sarebbe mai ucciso. Ma questa era solo una sua idea, per di più totalmente indimostrabile, visto che il cellulare, poche ore dopo la scoperta del cadavere, si era scaricato del tutto perché nessuno l’aveva tenuto in considerazione. Dentro di sé il Commissario si dava del cretino: si era accorto di quel dettaglio, ma non gli aveva dato la giusta importanza: madornale!, e ora – salvo averlo detto all’Ispettore il primo giorno d’indagini – non c’erano prove di quel dettaglio.
«Cosa farà di bello ora, Commissario?».
«Andrò in commissariato a scrivere il verbale».
«Io, quando arrivo, vado direttamente in ufficio, mi aspettano».
«Non so davvero come ci riesca».
«Suvvia, Commissario, ne abbiamo parlato così a lungo... Poi a me il buonumore non passa mai. E se rischia di passare, basta ingegnarsi a pensare qualche bello scherzo da fare a qualcuno».
«Ah, già, dimenticavo la sua mania...».
«Mania sarebbe esagerato, direi piuttosto che se si possono fare perché non farli? Pensi che ne avevo fatto uno anche al povero Lagri la sera in cui è morto».
«Addirittura... quale?».
«Stiamo per commercializzare un purgante... questa è carina: ne ho sciolta una mezza compressa nel bicchiere di Lagri quando si è alzato a telefonare: un bel mal di pancia per tutta la notte, con diarrea. Beh, lui me ne aveva giocata una molto più pesante l’anno scorso e in qualche modo dovevo pur vendicarmi, no?».
«Certo» disse il Commissario, con poca convinzione e ancor più pensieroso di prima.
“Allora è stato lui” pensò a un tratto. E tutto gli sembrò improvvisamente chiaro. Labile gli aveva dato il farmaco, Lagri aveva iniziato a stare male, era andato a diarrea e poi aveva continuato a stare male. Non voleva chiamare nessuno dei medici perché temeva che gli rubassero lo schedino di Marchiosi e forse anche perché “Il mio psicanalista me lo diceva sempre che sono un autodistruttivo” e “Quando sentono l’odore della tua paura o della tua stanchezza sei fregato”. Perciò era rimasto lì, fra dolori lancinanti. “E come faccio a calmare i dolori se sono un ipocondriaco iperteso? Mi faccio qualche sonnifero”. Si era preso una montagna di sonniferi, reso irrazionale dal dolore e dall’alcol tranguigiato fino a quel momento, ma evidentemente non era riuscito a calmarlo. Quindi aveva provato a chiamare il 118, ma non aveva fatto in tempo ed era svenuto, aveva battuto la testa ed era morto. Ecco spiegato perché era morto in quel modo strano, con l’emorragia e i barbiturici in corpo. Ed ecco anche spiegato il motivo per cui c’era il 118 sul display del cellulare, ma non era stato chiamato.
«Che ha Commissario? A che pensa?».
«Niente». Si accese mezzo sigaro e rimase a pensare.
Lagri era stato spinto a prendere i barbiturici dallo scherzo di Labile, che si era micidialmente mischiato all’ipocondria. Senza contare che era talmente imbevuto di alcol che sembrava la fogliolina di menta di un moijto. Ecco anche perché, malgrado il suo malessere, aveva buttato le bottigliette di superalcolici del frigobar nel cestino d’immondizia del bagno: non era stata presenza di spirito e nemmeno un gesto automatico, semplicemente era in bagno per la diarrea e continuava a bere con tanto di barbiturici sullo stomaco. Proprio degno di un ipocondriaco, instabile e su di giri. E non aveva nemmeno chiamato il 118, pur avendoci pensato.
«Commissario, inizio a preoccuparmi del suo silenzio».
Lui lo guardò, poi sorrise lievemente. “Lasciamolo libero come Scirea” pensò il Commissario, che invece disse:
«L’Italia è una regina scialacquatrice e povera in canna. Spreco e corruzione, spese inutili e clientelismo sono parte integrante del modo di vivere di quasi ogni italiano e nessun gruppo sociale sfugge alla regola».
«E questo come le è venuto in mente?».
«Stavo riflettendo che nessuno fa il suo dovere, ma forse, ogni tanto, va bene così» e pensava a se stesso.
A quel punto Labile, semplicemente, si limitò a non capire dove il Commissario volesse andare a parare e, vistolo più tranquillo, lo lasciò nella sua serenità sorridente e sorniona.
“È proprio vero: Cappuccetto Rosso deve morire perché il lupo si scopra” e il toscano pendeva all’angolo della sua bocca.
FINE
NOTA DELL’AUTORE
La frase «Avevano l’alto tasso di coesione di coloro che desiderano ardentemente piazzarsi secondi» è tratta da “Il condominio” di J.G. Ballard (Feltrinelli, pag. 58).
Il paragrafo «Se lo scopo del pranzo è il nutrimento del corpo, quel tale che in una sola volta divorerà due pranzi, otterrà – forse – una maggior dose di piacere, ma non otterrà lo scopo, giacché due pranzi non vengono digeriti dallo stomaco. Se lo scopo del matrimonio è la famiglia, chi cercherà di possedere molte mogli, o molti mariti, forse potrà ritrarne molto piacere, ma in nessun modo riuscirà a possedere una famiglia. Tutta la questione se lo scopo del pranzo stia nel nutrimento, e lo scopo del matrimonio nella famiglia, viene risolta, semplicemente, dal non mangiare più di quanto lo stomaco possa digerire, e dal non possedere più mogli, o più mariti, di quanto sia necessario per aver famiglia, e cioè una sola e uno solo» è tratto da “Guerra e pace” di L. N. Tolstoj (ed. Bur, pag. 1381).
«Il coraggio di diventare vigliacco fino in fondo» è di Giorgio Gaber.
«Abisso che c’è fra la certezza dell’esistenza e il contenuto che tento di dare a questa sicurezza. Prima d’incontrare l’assurdo l’uomo quotidiano vive con degli scopi e con il pensiero dell’avvenire. Valuta le proprie possibilità, fa assegnamento sulla pensione o sul lavoro dei figli. Crede anche che nella sua vita qualcosa possa avere una direzione» lo scrive Camus ne “Il mito di Sisifo”.