Cappuccetto Rosso deve morire /11

Trovò Alberto Russo, il quarto assente, nel suo appartamento. Era sudato e col fiatone.
«Sono appena tornato dalla corsa», nel dirlo continuava un po’ a muoversi, decongestionandosi. Succhiò con avidità un integratore di sali minerali. Posò un ipod della grandezza di un tappo di penna, azzurro-acido metallizzato, sul mobile della televisione e si tolse la fascia bianca di spugna dalla fronte.
«Corre?».
«Quando ho un po’ di tempo faccio jogging... sa... se non ci si tiene in forma la gente pensa che ti stai lasciando andare... e noi non vogliamo questo, vero?».
«È un problema?». Il Commissario cercava di non essere centrato da alcuni schizzi di sudore provenienti dall’arcata sopraciliare di Russo (che per di più era rasato in un modo così perfetto, così assurdamente innaturale, da urtare il Commissario).
«Quando hai gli occhi dei tuoi colleghi che ti vogliono fare la pelle e degli investitori addosso, sì. Conosco persone, anche dirigenti, che vengono licenziate se non hanno un buon aspetto. Giacca e cravatta sono solo il requisito minimo: per fare una buona impressione il tuo aspetto deve anche comunicare freschezza».
«Come una mozzarella».
Alberto Russo sorrise, in modo che non si percepisse nulla in quel sorriso, nemmeno un’ipotetica irritazione per la battuta.
«Non proprio, Commissario. Una mozzarella non ha bisogno di comunicare anche sveltezza, giovinezza e tante altre belle cose».
«Non basta la competenza?».
«È fondamentale, ma per diventare dirigenti di alto profilo non basta. È necessario che le persone che hai intorno ti trovino anche gradevole. Perciò bisogna essere ben rasati, puliti, profumati e possibilmente in forma».

Mentre parlava, Alberto Russo si muoveva per la stanza tirando fuori dai cassetti gli abiti che probabilmente si sarebbe messo dopo la doccia, in vista di una passeggiatina pomeridiana magari in qualche zona con molti colleghi con cui chiacchierare per consolidare la sua rete di contatti: una camicia informale bianca e un paio di pantaloni comodi ma che non avrebbero sfigurato a una cena mediamente importante. Un incrocio fra il lavoro e la vacanza, la pulizia del bianco e l’estetica del pantalone casual di marca, comodità e stile, come il Commissario aveva già osservato. Certo, interrogato sulla parola “stile” si sarebbe intrattenuto in sottili distinguo, ma lì per lì se lo appuntò nel cervello così come l’aveva concepito.

«Può spiegarmi perché non era in anfiteatro ieri sera?».
«C’ero. Sono mancato solo una ventina di minuti».
«Sì, a occhio e croce tra le 23.40 e mezzanotte».
«Esatto. Ammirevole, devo ammettere che credevo che la polizia fosse meno efficiente».
«Tutti commettiamo errori».
«Dopo lo spettacolo dovevo parlare con un medico che voleva qualche informazione in più su un farmaco che stiamo sperimentando, perciò sono tornato qui per prendere i miei appunti».
«Ci ha messo molto a trovarli».
«Ho perso tempo a riscriverli, visto che non volevo dargli i miei fogli scarabocchiati. Tra l’altro ho una pessima scrittura, per cui perdo sempre un po’ di tempo a scrivere con una grafia più leggibile».
«Qualcuno l’ha vista?».
«Non lo so. Forse. Ma anche se fosse non le saprei dire chi: se avessi saputo che sarebbe venuto a chiedermelo...».
«... si sarebbe trovato un alibi, certo, perché solo i colpevoli hanno un alibi».
«Sì, beh, ecco, appunto».
«Però non è possibile che tutti gli innocenti siano sistematicamente senza alibi, le pare?».
Quella domanda, non delle più comuni e a bruciapelo, lasciò un istante Russo interdetto, ma subito risistemò il sorriso da dov’era caduto e rispose:
«Certo, Commissario, non ha tutti i torti».
«Chi è il medico con cui si è visto?».
«Il dottor Lerici. Sono venuto qui, ho ricopiato i fogli, e l’ho beccato proprio nel momento in cui è uscito dall’anfiteatro. Se vuole glielo chiamo subito, è qui a fianco».
«Mi farebbe un piacere».
Alberto Russo si asciugò il volto e le mani su un asciugamano, uscì sul balcone e chiamò ad alta voce il dottore. Questi, sul balcone anche lui, si distolse dalla Settimana Enigmnistica e si voltò, sorrise e salutò.
«Dottor Lerici, ha poi letto i documenti di ieri sera?» chiese Russo.
«Certo. Anzi, grazie per avermeli dati».
«Di nulla. Scusi, mi aiuti a ricordare: ieri quando ci siamo visti?».
«Poco dopo la fine dello spettacolo».
«Ah, già, giusto. La ringrazio moltissimo».
Il Commissario, rimasto ad ascoltare dietro l’anta aperta delle imposte, udì perfettamente ogni battuta del dialogo. Russo rientrò e gli chiese se andasse bene. Il Commissario ammise che andava bene.
«Che tipo era Lagri?».
«Lo conoscevo poco. Me n’ero fatto un’idea da quello che sentivo in giro dagli altri. Comunque, tutto sommato, non credo che ci fosse molto altro. Era uno a cui piaceva giocarsela, che se ne fregava delle regole e ci dava giù. Un piacione».
«Che intende con “se ne fregava delle regole”?».
«Come in ogni cosa, Commissario, anche nelle nostre abbiamo delle regole. Non molte a dir la verità, ma qualcuna ancora sì. Certamente ci sono quelli che non le rispettano, e Lagri era uno di questi, ma se non altro si prova a rispettarle. Insomma, si evita di mandare al cliente delle prostitute, di cercargli la droga, di organizzargli festini. Cose così».
«E Lagri faceva queste cose?».
«Qualcuno diceva di sì, ma io ne so poco. Davvero poco. Ora, se mi ha chiesto quel che mi doveva chiedere, avrei bisogno di fare qualche telefonata e farmi la doccia».
«Certo, tanto, nel caso, so dove trovarla».
«Stia tranquillo: non scappo» e sorrise. Anche il Commissario sorrise, ma Alberto Russo non seppe dire se era un sorriso di risposta o magari dovuto a qualche altra ragione.

Uscendo il Commissario si accorse che nel bagno c’erano molti prodotti di bellezza, ma Alberto Russo non era venuto – se l’aveva – con la moglie. Magari fra tutte le cose che aveva portato c’erano anche dei barbiturici.
«Senta, scusi» disse il Commissario sulla soglia «le spiace se uso la toilette?».
Alberto Russo, per un secondo o due, indurì un poco l’espressione, poi ritornò disteso così com’era allenato a fare e disse «Certamente».
Il Commissario entrò in bagno e chiuse la porta, si guardò intorno rapidamente, senza spostare nulla o comunque rimettendo ciò che spostava nel posto preciso in cui era. Ci mise un minuto. Tirò lo sciacquone e, approfittando del rumore, aprì velocemente i cassetti. Niente di niente. Infine aprì l’acqua come se si stesse lavando le mani, così da poter dare un’occhiata anche nel mucchio della roba sporca che andava spostando con la punta della scarpa e nel cestino. Tranne qualche coccio di terracotta fra i rifiuti, risultato probabilmente di un souvenir e di una disattenzione, non trovò nulla. Uscì dal bagno e salutò di nuovo.

14-05-2015 | 11:44