Cappuccetto Rosso deve morire /12
Si diresse alla volta della casa occupata da Maugeri e, andandoci, si imbatté nell’Ispettore.
«Prendiamo un caffè?».
«Volentieri, dottore».
Il bar era proprio sulla strada per il bungalow del dottor Maugeri, addirittura riuscivano a vederlo stando ai tavoli. A quanto pareva era completamente chiuso, forse perché il dottore era al mare o magari in giro per il Villaggio.
«Tutto bene?» gli domandò l’Ispettore guardandolo per qualche istante negli occhi.
«Sì, stavo pensando a una cosa».
Sapeva bene che il suo capo spesso si perdeva nei suoi pensieri, ma tutto sommato non gli dispiaceva: almeno pensava quando era assente, invece di tanti altri che erano assenti perché erano assenti.
«Posso chiedere a cosa?».
Il Commissario mordicchiò il sigaro: «L’ambizione muove il mondo e si sa. Per un ombrellone più vicino al mare, per una casa più grande, per un’auto più potente, per una moglie più bella... Si tratta sempre di avanzamento, e per moltissimi è faticoso, pagato in sacrifici, con giornate di sedici ore in ufficio. Figli visti crescere per sentito dire, feste di compleanno mai applaudite, amici e parenti ammassati in un’angusta porzione residuale di tempo. Purtroppo, però, l’ambizione è una persona. L’ambizione è tutto ciò che una persona prova a essere, che tenta disperatamente di diventare. La nostra ambizione ci domina, ci controlla e a volte ci annebbia. È come offrire a un collezionista il pezzo che ha sempre desiderato: pur di averlo potrebbe fare cose che non ha mai pensato di essere capace di fare. A seconda di quanto è morbosa una persona, tanto potrà spingersi in là per avere ciò che desidera».
«Volontà di potenza» azzardò l’Ispettore, che però non conosceva le implicazioni meno immediate di quella espressione.
«Non è potenza. È ambizione. Sono due cose diverse: l’ambizione è eterea, la potenza no. Non si riesce mai ad assomigliare al proprio modello: è un’utopia. Almeno la potenza la vedi, ne vuoi sempre di più, ma almeno la riconosci».
Nella mente del Commissario le considerazioni sull’ambizione aumentavano. Rompere una testa? Tradire un amico? Negare aiuto a qualcuno? Qual è il limite dell’ambizione, se ce n’è uno?
Dall’altoparlante aveva iniziato a propagarsi, visto che era concluso l’orario di silenzio del dopopranzo, una musichina cubana in puro stile Cugat. Era soft come tutto il resto intorno: in quel posto anche le spine dei cactus erano morbide e carezzevoli come cuscini di piume. Tutto studiato per diffondere una rilassatezza contigua allo stordimento. Sul Commissario, però, stava facendo l’effetto contrario: gli sembrava la cantilena infantile che nei film horror preannuncia lo splatter.
L’Ispettore avrebbe voluto chiedergli se era ambizioso, ma non ebbe lo slancio: avrebbe richiesto una confidenza che fra loro non c’era, ma la risposta sarebbe forse stata probabilmente deludente. Il Commissario non si sentiva ambizioso e forse questa carenza l’aveva sempre protetto del suo demone, cioè da quella pulsione negativa o ossessione che, oltre a essere potenzialmente distruttiva, a lungo andare tende a essere autodistruttiva. Se in altri questo demone si chiamava avidità o gelosia o in qualche altro modo, per il Commissario si chiamava malinconia. Non era d’indole allegra e le delusioni lo prostravano terribilmente, al punto che sarebbe morto se avessero riguardato il suo progetto di vita. La mancanza di ambizione, quindi, gli impediva di puntare troppo su se stesso e di arginare così le perdite in caso di sconfitta. Perdite troppo grosse, anziché motivarlo a migliorarsi, lo avrebbero immobilizzato prima e ucciso poi.
«E l’ambizione di un uomo che crede di essere destinato al successo riesce a non diventare autodistruttiva?» riprese il Commissario, come riannodando il filo di un discorso reciso.
L’Ispettore non sapeva da dove partiva il ragionamento, perciò si limitò ad attendere che il Commissario arrivasse dove voleva arrivare.
«Se l’ostacolo al successo fosse stato Lagri, quanti si sarebbero fermati prima di arrivare all’omicidio?».
«Se parliamo di ambizione» rispose l’Ispettore «quasi sicuramente parliamo di un giovane».
«Allora dobbiamo escludere Pileggi e puntare su Russo?».
«Se vogliamo fare questo ragionamento, dottore, allora sì».
In lontananza videro Maugeri tornare dal mare. Si alzarono e andarono verso di lui.
«Buongiorno dottor Maugeri» disse il Commissario e si presentò.
Il dottore era un bell’uomo brizzolato, alto, atletico. Rispose cordialmente e li invitò ad accomodarsi nel patio.
«Scusi Commissario, ma sono pieno di sabbia e non mi va di spargerla per casa».
Quando sentì queste parole le associò istantaneamente all’impressione di poco prima davanti al bungalow di Seppi, quando aveva udito le ciabatte della signora Seppi che veniva ad aprirgli muoversi su un pavimento sporco di sabbia.
«Non ci vorrà nulla. Le devo fare solo un paio di domande. Per prima cosa ho bisogno di sapere perché ieri non era in anfiteatro, grossomodo fra le 22.20 e le 22.35».
«Guardi, le sembrerà una stupidata, comunque ero tornato al ristorante per farmi dare un dolce».
«Un dolce?» ripeté l’Ispettore, che questa proprio non l’aveva mai sentita.
«Sì. Si tratta di un budino al cioccolato che fanno i cuochi e, siccome ne era avanzato tanto e a me era piaciuto molto, quella sera sono tornato indietro da loro a chiedere se me ne potevano dare un po’».
«E gliel’hanno dato?» domandò il Commissario.
«Altroché, non ce l’ho nemmeno fatta a finirlo. Inoltre, siccome i campanacci mi avevano anche fatto venire il mal di testa, ne ho approfittato per portare la teglia qui e metterla in frigo, altrimenti si sarebbe ridotta a catrame».
«Ed è tornato in anfiteatro dopo?».
Il dottore guardò un momento il Commissario, come se esitasse, poi sorrise e abbassò la testa.
«Va bene Commissario, sono colpevole. Non ho resistito e sono rimasto qui a mangiarla».
«Saprebbe dirmi a chi ha chiesto la cortesia?» chiese l’Ispettore con fare pratico.
«Non so il nome. Comunque dev’essere un cameriere. Ha un piercing al labbro e i capelli biondi, corti dietro e lunghi avanti».
L’Ispettore, con un’occhiata d’intesa, fece capire al Commissario che avrebbe verificato.
«Conosceva Lagri?».
«Di vista, solo di vista» disse il medico, ma con un tono di voce che fece fremere le vibrisse del Commissario.
«E che opinione aveva di lui?».
«Nessuna in particolare. Mi sembrava una persona normale. So che giravano molte malignità su di lui, ma francamente non gliene saprei dire nemmeno una. Non m’interessano molto i pettegolezzi, di solito vengono messi in giro da persone peggiori di quelle di cui parlano».
«Capisco... bene... visto che è stato breve? È sufficiente collaborare».
«E io ho collaborato».
Il Commissario si voltò di scatto verso Maugeri, prese piano con gesti microchirurgici un mezzo sigaro dalla tasca, lo mise all’angolo della bocca e poi – con occhi sorridenti e un po’ beffardi, ma solo un po’ – spiccicò un «Certo». Il sorriso gli si piegò appena da un lato prima che ripetesse «Certo».
Lo salutarono, raccomandandogli di rimanere nelle vicinanze in caso di sviluppi, e andarono via.
«Dottore, permette, io vado a controllare questo fatto del dolce».
«Non ti capaciti, vero?».
L’Ispettore scosse il cranio.
«Certo, vai, ma vedrai che sarà confermato. Io faccio un giro qui attorno».