Cappuccetto Rosso deve morire /20

18.30

Il dottor Vargiu giunse trafelato al Villaggio. Prima di lui c’era già stata la squadra della Scientifica, facilitata dal fatto di non essere su un gozzo a zonzo per il Canale di Sardegna. Andando incontro al Commissario fece le corna e disse:

«Ultimamente starti vicino è diventato uno sport estremo».

«Dentro c’è il paziente: gli ho detto di aspettare perché stavi arrivando».

Il dottore entrò e non appena vide il cadavere disse «Impiccagione alla Condè, era un bel po’ che non ne vedevo una» e, dopo averlo esaminato, aggiunse «dev’essere morto stamattina. Diciamo, ora più ora meno, otto ore fa».

«Sii più preciso».

«Non saprei... diciamo nove e mezza, dieci e mezza... ma te lo saprò dire precisamente dopo l’autopsia».

«Che arriverà...».

«Se non arrivano altri regali da questa macelleria che hai aperto direi lunedì o martedì».

«Meglio lunedì».

«Va bene. Comunque, appena so qualcosa di utile, ti chiamo. Okay?».

Il Commissario annuì, amaramente rassegnato: sia Vargiu che Piras non potevano essergli utili in quel momento e il tempo che, malgrado loro, chiedevano era davvero molto prezioso.

 

20.00

In mezzo a tutti quei pensieri, che in qualche modo lo facevano sentire angosciato, arrivò da non si capiva bene dove Roberta Giano, in arte Andandosene. Non era coi figli né col marito. Passeggiava da sola, con lo sguardo perso verso il mare, come se ne stesse pensando le trame – se l’avesse toccato avrebbe strusciato i polpastrelli sulla sua superficie come quando si saggia una stoffa. I suoi capelli rossi erano fluenti e loschi, aveva dei fianchi barocchi a chiave di violino, seni sismici, una bocca strana che riusciva ad avere ai bordi delle pieghe sorridenti e alla fonda dei perturbamenti di tristezza. In compendio, il Commissario non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Non si era accorto di quant’era bella nel precedente colloquio.

Dove ti ho già vista?” pensò. Probabilmente da qualche parte nelle sue fantasie, oppure davvero nella realtà, magari in un momento svagato, quando – come fin troppo spesso gli accadeva – era così concentrato su se stesso da lasciarsi scappare le cose belle che aveva intorno.

Le si avvicinò.

Gli ricordava una donna che aveva perduto. Il giorno in cui si erano lasciati aveva registrato la fine di quella storia con la serenità di un’amputazione dovuta. Coltivava la regola del male minore, che indubbiamente era meno dispendiosa, ma molto dolorosa. Ricordava molto chiaramente i motivi per cui si erano separati, ed erano così ovvi che gli davano semplicemente fastidio. Si diceva che era deprimente che le persone si valutassero a partire dagli stereotipi che avevano sotto mano. Lui si portava appiccicata addosso la sua etichetta di uomo cinico e distaccato. Ma nessuno sembrava rendersi conto che un cinico non è altro che un uomo ferito. Lui, peraltro, non ne era troppo consapevole perché non se ne sentiva nemmeno lontanamente colpevole. Purtroppo, invece, tutto funzionava sull’apparenza e c’era poco da dire in merito. Era colpa della sua maschera, ma non sapeva come togliersela, per cui se la teneva. Amen. Conosceva gente che “per principio” era rimasta con partner disprezzati, ma aveva anche conosciuto gente che aveva lasciato il proprio partner “per principio”. Cominciava a credere che “principio” fosse un sinonimo di “egoismo”. Lui non faceva niente per principio e tutti pensavano che gli difettasse la passione.

Ormai vicinissimo, lei parve non rilevarlo. Era come se niente le fosse intorno e ciò lo ferì profondamente nell’orgoglio: fu l’immagine di lei che lo ignorava. E improvvisamente l’impressione di averla già vista diventò ancor più vera, come fosse una reliquia ripescata dopo secoli dal mare – familiare e lontanissima.

«Buonasera».

«Buonasera Commissario» disse d’un fiato, trasalendo.

«Si rilassa prima di andare a cena?».

«Sì, sì, diciamo che sto solo mettendo un po’ a posto le idee».

«Qualcosa la turba?».

Lei si voltò, un gesto veloce e deciso ma delicato, lo guardò ben bene, e adoperando gli occhi come puntine da disegno lo appiccicò al vento. Li aveva già visti quegli occhi, gli davano una strana sensazione, come di deformazione coerente: gli pareva di star guardando il rifacimento di un film.

«No, tutto benissimo. Però non mi piace come si stanno mettendo le cose».

«Che intende?».

«Non so, non mi sento molto in me. Forse sono solo molto stanca... mi sembra di non conoscere più questa gente... sono come estranei, estranei pericolosi di cui ho paura».

«L’hanno minacciata?» esclamò il Commissario allarmato.

«No, niente roba simile... ma tutto mi sembra surreale. Non lo so, Commissario, ma inizio ad avere paura persino di mio marito».

Lo guardò, con quel misto di paura e speranza che le persone hanno quando pensano di avere davanti la soluzione ai propri problemi, e stavolta il Commissario ne fu lusingato profondamente. E atterrito.

«Ovviamente è solo una mia impressione. Pur essendo donna, ammetto che ogni tanto noi donne ci mettiamo davvero troppo del nostro...».

«Noi uomini, invece, di nostro ci mettiamo quasi niente. Per questo spesso non capiamo le situazioni. Forse le donne fanno meglio».

«Non so se è sempre positivo interpretare le situazioni al punto da esagerarle».

«Meglio che non interpretarle per niente. Non le vorrei sembrare un maschilista né tanto meno un romantico, ma credo che sia proprio questo che ci piace delle donne. Amiamo le donne che sappiano amarci anche quando siamo scorbutici, quelle che parlano poco e ci accarezzano con dolcezza la testa, quelle che ci abbracciano e si fanno abbracciare quando si sta distesi sul divano a guardare un film, quelle che ci rimproverano, che si commuovono quando leggono una nostra poesia o se le tengono nel portafoglio, quelle che sanno farsi amare e non hanno il complesso dei propri difetti. Ma queste cose si possono fare solo quando ci si mette davvero in gioco in una situazione».

 

Si era reso conto di aver parlato con troppo trasporto, ma ormai era tardi. Cercò di tagliare corto, di non darle modo di rispondere. Disse qualche altra cosa molto generica e poi si defilò.

15-06-2015 | 01:39