Cappuccetto Rosso deve morire /31
15.00
Labile era già seduto a un tavolino, leggendo un libro. Quando vide il Commissario arrivare quasi si preoccupò per la faccia tremendamente seria che aveva. Si sedette e come prima cosa disse «Cos’è il software di Marchiosi?».
A Labile cadde di mano il libro.
«Come sa di Marchiosi?».
«Glielo dico dopo».
«Marchiosi è un medico meridionale, non mi ricordo di dove, che ora è in Svizzera. Non si sa bene cosa stia facendo, ma pare che stia sviluppando un software che potrebbe mettere in crisi l’equipe di ricerca di Mario Antico con tutto il suo bel database. Non so bene come funzioni, anzi, non lo sa nessuno perché Marchiosi lavora in assoluta segretezza con capitali sauditi, per cui non se ne sa nulla. Pare, e le assicuro che si tratta più di una favola che di altro, che qualche mese fa il suo sistema abbia subito un attacco da dei pirati informatici e che siano riusciti a rubare molte informazioni preziose».
«Cos’è il codice di Marchiosi?».
«Il codice che potrebbe far funzionare le informazioni preziose di cui sopra».
Labile stava guardando negli occhi il Commissario con un’apprensione indescrivibile, come se avesse avuto davanti l’uomo che aveva scoperto il segreto per la vita eterna.
«Lei non ha quel codice, vero Commissario?».
«No, Labile, si tranquillizzi. Saprebbe dirmi il prezzo di mercato di quel codice?».
«Non credo che ci sia un prezzo di mercato: per alcuni potrebbe essere inestimabile e per altri potrebbe non valere niente. Supponiamo che lei lo volesse vendere a Mario Antico: quello probabilmente direbbe che non gli interessa, perché magari non ha le informazioni da far funzionare e col suo database si trova benissimo. Non lo comprerebbe perché, tanto, comunque, saprebbe che comprarlo non gli servirebbe a bloccare Marchiosi. Quel codice serve unicamente a chi volesse fotterlo sul tempo aggiudicandosi il brevetto del software. Parliamo di un affare di miliardi».
Il Commissario rimase in silenzio un po’. Se Alberto Russo aveva rubato la civetta voleva dire, ovviamente, che era lui il destinatario del codice perché sapeva che si trovava nella civetta. Il problema era che doveva aver trovato la fotografia per ricattare Mario Antico e non lo schedino plastificato. “Ecco!” si disse finalmente il Commissario “Ecco cosa erano quei frammenti di terracotta nel suo cestino dei rifiuti!” pensò ricordandosi di quando era andato nel suo bagno il giorno prima. Quindi l’aveva rotta, ma al suo interno aveva trovato la foto. A quel punto come aveva agito? Era troppo tardi per tornare da Lagri, per di più solo con un mucchietto di cocci, e non poteva nemmeno ammettere d’averla presa lui la civetta. Probabilmente, allora, era tornato il giorno dopo, commettendo l’effrazione del tredici giugno, ma invece di trovare lo schedino aveva trovato il diario, in cui veniva fatto anche il suo nome. Se l’era portato con sé e l’aveva nascosto come aveva fatto Lagri: appiccicandolo con lo scotch sotto al mobile della televisione. Purtroppo per lui, l’Ispettore l’aveva trovato.
«Quindi Mario Antico non ne avrebbe interesse, dice?».
«A meno che non avesse le informazioni rubate e il codice non gli servisse per la registrazione a suo nome».
“Però” pensò il Commissario “se qualcuno avesse le informazioni e il codice, sicuramente avrebbe una bella carta da giocare con Antico per convincerlo a fare qualcosa... nello specifico Russo, l’arrivista”. O forse non era così, tenne in conto anche questa eventualità, cioè che Russo lo volesse per i propri interessi.
Ciò che doveva chiarire, a quel punto, era che fine aveva davvero fatto lo schedino dopo che Lagri l’aveva passato a Marinaro. Che ne aveva fatto il dottore, se qualcosa ne aveva fatto?
«Scusi Commissario, mi rendo conto che probabilmente non può, ma potrebbe dirmi cosa succede?».
«Ha detto bene Labile, purtroppo per ora non posso dirle nulla».
In attesa dell’Ispettore, il Commissario, senza lasciare Labile, fece alcune telefonate per sincerarsi di un paio di dettagli che doveva controllare, come per esempio se la macchina che aveva rischiato di uccidere Lagri, il suo amico Aldo e il nipotino di quest’ultimo fosse stata o meno rubata.
Mentre era al telefono arrivò l’Ispettore, in anticipo di ben quindici minuti.
Si sedette anche lui e attese che il suo superiore terminasse le chiamate. A quel punto gli consegnò un elenco di numeri, nomi e sms. Il Commissario lo scorse velocemente, poi disse:
«Molto bene. Molto bene. Facciamo in fretta, perché a questo punto la si gioca sul tempo. Vi riassumo la faccenda. Marco Lagri è un doppiogiochista, un eclettico voltagabbana e un mercenario. A insaputa di quasi tutti è passato dalla Deltamed alla Ph.Arma per guadagnare più quattrini. Labile, che è amico di Lagri e fa parte della dirigenza della Ph.Arma, sa del passaggio di padrone. La sera del dodici giugno, a cena, hanno festeggiato l’assunzione. L’affare che Lagri stipula con la Ph.Arma è il seguente: deve convincere il dottor Mario Antico a firmare un contratto esclusivo con la Ph.Arma. Questo tre giorni prima di venire qui. Il ventisei maggio va da una sua vecchia conoscenza per avere informazioni su Mario Antico che possano aiutarlo a convincerlo a firmare. La vecchia conoscenza incontra Lagri in un mercatino, mentre passeggia con suo nipote. A un certo punto si verifica uno strano incidente: una macchina esce fuori strada, evidentemente guidata da un pirata della strada, e rischia di falciarli tutti e tre, ma Lagri lo evita. Senza dubbio, scrive Lagri nel diario, sono della Deltamed. Ma non lo si può provare: l’auto risulterà rubata (con regolare denuncia del proprietario) e il guidatore non sarà identificato. Lagri capisce che è meglio cambiare aria e decide di venire qui il giorno dopo, equivale a dire il ventisette maggio, una ventina di giorni prima del congresso, spesato dalla Ph.Arma. La sera prima della partenza, cioè la sera stessa dell’incidente, Lagri riceve la visita del nipote della vecchia conoscenza: il bambino gli consegna una busta chiusa da parte di quest’ultima. In più, stavolta non da parte di suo nonno, ma proprio da parte sua, gli regala una civetta di terracotta portafortuna come ringraziamento. Nella busta c’è una vecchia foto con cui potrà facilmente ricattare Mario Antico, perché rappresenta l’unico legame fra il dottore e un omicidio che potrebbe aver commesso più o meno un trentina d’anni fa. Pensando, ovviamente, che la civetta non abbia alcun valore la mette nella propria valigia, mentre nasconde la foto su di sé. Arrivato qui, preferisce nascondere la foto nella civetta, così scopre lo schedino col codice di Marchiosi. Il piano di Lagri è perfetto: avendo capito di cosa si tratta decide di venderla a un certo prezzo alla persona a cui pensa possa interessare di più, cioè Marinaro. Lagri ha con Marinaro un vecchio piacere in sospeso, quindi pensa di fargli cosa gradita vendendogli il codice in cambio di una cifra che – per quanto alta – non arriva minimamente alla cifra di “mercato”. In questo modo intascherebbe i soldi di una cosa di cui, a rigor di logica, lui non sa nemmeno l’esistenza e le colpe ricadrebbero sulla sua vecchia conoscenza, che così avrebbe la giusta punizione per averlo trasformato in un corriere inconsapevole. Tra l’altro, leggendo il diario, è evidente come Lagri fosse fobico: aveva una paura irrazionale delle malattie e delle lesioni, delle emozioni, dei sentimenti, del giudizio degli altri, di qualsiasi cosa potenzialmente. Di conseguenza, la consapevolezza di essere diventato un bersaglio mobile, semplicemente lo mandava fuori di testa. Comunque, a questo punto, cioè appena arrivato al Villaggio, nasconde il proprio diario sotto il mobiletto della televisione con quattro pezzi di scotch agli angoli e lo schedino in un calzino appuntato dietro le tende».
«Scusi, dottore, ma sappiamo chi ha ucciso Marinaro e, soprattutto, Lagri?» domandò l’Ispettore.
Il Commissario stava cercando di ragionare quanto più velocemente possibile, perché comunque si trattava di una strategia rischiosa, per quanto bene potesse essere architettata. Lo schedino poteva essere nascosto dovunque e mai più poteva ritrovarsi: una prova decisiva persa per sempre.
Per di più non riusciva a togliersi dalla mente il sospetto che Alberto Russo avesse qualcuno nel Villaggio su cui contare... un aiutante, per così dire, che avrebbe costituito la sua uscita d’emergenza nel caso in cui le cose si fossero messe al peggio. Qualcuno a cui affidare, eventualmente, addirittura lo schedino.
Stava provando a immaginare chi, fra quelli che aveva conosciuto lì, poteva avere tutte le caratteristiche necessarie. Il problema era che non li conosceva tutti e centocinquanta, e comunque non bene. Domandò quindi a Labile un’opinione, ma anche lui stentava a immaginarsi qualcuno. Fece qualche nome, ma si vedeva che era un inutile sparar nel mucchio. Una buona idea la ebbe l’Ispettore:
«Dottore, se si fida di qualcuno, quello là sicuramente deve avere le sue buone ragioni. È una cosa ovvia, ma quali sono davvero delle buone ragioni?».
«Io direi un legame d’affari o, comunque, economico» azzardò d’istinto Labile.
«Certo» confermò il Commissario.
«Oppure? Quale, quale legame può unire come o più del denaro? E quale legame non corre il rischio di essere comprato dal miglior offerente?» continuò l’Ispettore.
«L’amore?» azzardò di nuovo Labile.
«A scanso di equivoci, però, dovremmo anche sapere se gli piacciono gli uomini o le donne» specificò l’Ispettore.
«Questo ce lo può dire solo lei, Labile».
«Per quello che so è eterosessuale».
«Rimane però il problema, dottore: possiamo ammettere che da qualche parte ci sia una donna con questo benedetto schedino o magari che semplicemente sa un po’ di cose interessanti, ma chi è?». Non appena l’Ispettore ebbe pronunciato la copula, il Commissario ebbe l’illuminazione. Un’illuminazione sciocca, beninteso, a cui sarebbe dovuto arrivare molto prima. D’imbarazzante immediatezza, ma come il tesoro chiuso in uno scrigno: senza la chiave giusta, la domanda dell’Ispettore in quel caso, il tesoro, per quanto abbagliante, non lo si può vedere.
Il Commissario si alzò, gli altri due lo seguirono. Si stava dirigendo con passo sicuro e deciso verso la proprietà di Roberta Giano.
«Commissario, non le sembra un po’ scontato pensare che sia la Giano?».
«Niente affatto Labile. Anzi, è l’unica soluzione possibile».
«Perché?».
«Perché ha detto che suo marito fuma il sigaro».
Arrivarono nel patio della Giano. Il Commissario bussò. La donna non c’era. Allora aprirono la porta col passepartout che aveva dato loro il Direttore del Villaggio quella mattina.
«Scusi, ma che c’entra che il marito fuma il sigaro?».
«Sente odore di sigaro qui dentro, Labile?».
«No, ma che vuol dire? Magari la moglie non lo fa fumare dentro e lo spedisce a mare».
«Certo, potrebbe, ma qui non se ne sente nemmeno il sentore. Non c’è nemmeno un sigaro poggiato da qualche parte, e le garantisco che se fumi il sigaro i vestiti rimangono impregnati. Qui i vestiti ci sono, ma non hanno nessun odore».
«E quindi?».
«Suo marito non esiste, Labile. Se lo dev’essere inventato. Non so perché, ma, ammesso che non sia completamente pazza, quand’era al cellulare doveva pur parlare con qualcuno: e questo qualcuno, probabilmente, era proprio Alberto Russo».
«Ma dottore, io l’ho perquisita questa casa, non c’è nulla».
«Rimanga qui, Ispettore. Io vado da Russo. Chiunque dovesse entrare non lo lasci andare via senza una perquisizione».