Cappuccetto Rosso deve morire /8
Camminò fino alla casa del dottor Aulo Gellio Marinaro.
I bambini iniziavano ad ammutolirsi, una parvenza di ordine da dopopranzo estivo iniziava a diffondersi.
Il Commissario captava disordinatamente i discorsi che si facevano all’intorno, alcuni interessanti e altri inutili, alcuni offensivi e alcuni assurdi.
Bussò alla casa del dottor Marinaro e attese che gli aprisse.
Appoggiati al muretto della casa accanto due persone stavano parlando:
«Devo ricordarmi di contare i pesci nella fontana prima di andarmene».
«A che ora parti?».
«Forse tra dieci minuti o tra un quarto d’ora».
«Quando li hai contati l’ultima volta?».
«Ieri».
«Allora saranno ancora lì».
«Ogni tanto ne manca qualcuno».
«Dici che li portano via?».
«Chissà... ogni tanto qualcuno scompare».
«Forse dormono. Perché te ne vai?».
«Ti ho spiegato che non dipende da me».
«E da chi dipende, allora?».
«Non lo so».
«Come i pesci».
Il Commissario non capì se facevano parte del personale del Villaggio o meno, ma la cosa gli parve comunque strana: perché qualcuno doveva prendere dei pesci da una fontana?
Bussò di nuovo e stavolta Marinaro gli rispose subito.
«Mi deve scusare, Commissario, dormivo».
Il Commissario non si stupì più di tanto per essere stato riconosciuto: ormai la notizia doveva essere volata di bocca in bocca. Anche Marinaro dimostrava di sapere perfettamente cos’era successo, ma in compenso doveva sentirsi così tranquillo da dormire. In effetti non aveva nulla da temere, visto che all’atto pratico si trattava di un’inchiesta quasi per gioco.
Marinaro sembrava un uomo pratico e spiccio. Saltò tutti i convenevoli come se avesse avuto una gran fretta (anche se non dava minimamente l’aria di dover fare qualcosa di lì a poco) e disse al Commissario di procedere direttamente al nocciolo della questione:
«Per quale motivo si è assentato dall’anfiteatro più o meno fra le 22.00 e le 22.20?».
«Mi ha telefonato una paziente e, siccome i campanacci dei mamuthones non mi facevano sentire nulla, mi sono alzato».
«Potrebbe farmi controllare il suo telefono?».
«Certo». Se lo tolse di tasca all’istante e all’istante glielo porse. Il Commissario trovò le tracce di una chiamata ricevuta da un fisso, che appuntò con l’intenzione di controllare, e realmente durata una ventina di minuti, a quanto pareva senza interruzioni.
«Il motivo della chiamata?».
«La mia paziente temeva di aver preso un’insolazione o qualcosa del genere. Spesso ci dobbiamo anche mettere a rassicurare gli ipocondriaci».
«Beh, mi sembra ragionevole, se si pensa alle varie “cliniche degli orrori” che ogni tanto si scoprono».
Entrambe queste osservazioni erano state dette con un tono casuale, colloquiale si sarebbe detto, ma riuscirono a innescare ugualmente una discussione abbastanza accesa se non nei toni almeno nei contenuti. Difatti Marinaro rispose lievemente piccato:
«Commissario, le assicuro: essere medico è davvero molto complicato. Non si tratta solo di medicina, di cure e diagnosi. Purtroppo bisogna anche avere a che fare coi pazienti, a cui basta leggere tre fesserie su internet per arrivare con la diagnosi pronta. E non vogliono nemmeno sentire quello che hai da dire tu, che magari hai studiato medicina per un po’ più di dieci minuti. Grazie al pessimo giornalismo di certi imbrattacarte la gente arriva in studio o al policlinico con la sentenza scritta in faccia: tu sei un medico e cercherai di fregarmi se non di uccidermi. Ogni errore medico, cioè umano, viene ingigantito dai tg e quindi se qualcuno muore a Bologna in automatico ci sono trenta vecchi a Palermo che temono di fare la stessa fine. È ridicolo!».
Il Commissario osservò meglio il suo interlocutore: calvo, bassetto, con una barba inquietante da Landrù. Aveva le mani squadrate e le ginocchia nodose come rami d’ulivo. La sua carnagione era, inutile dirlo, olivastra e la pelle piena e liscia, come quella di un ragazzo. Una corporatura da sedentario, ma senza un filo di grasso.
«Beh, ridicolo fino a un certo punto...».
«No, no. Ridicolo su tutta la linea. È come se, dopo i fatti di Genova, lei fosse additato come assassino e torturatore. È come se, visto che alcuni giudici sbagliano, allora anche tutti gli altri sono inaffidabili. Le generalizzazioni non fanno mai bene».
«Certo che no, ma voi avete in mano le vite e la salute delle persone».
«Perché, un giudice che ti manda in galera dieci anni con un processo indiziario non ha giocato con la tua vita?».
«Sì, ma il giudice non è in combutta con le aziende farmaceutiche. Non scrive sulle riviste specializzate entusiastiche recensioni di certi farmaci che vengono fuori cambiando colore alle stesse pillole di cui scadono i brevetti (così le si possono far pagare ancora un occhio della testa), che vengono prodotti dalle industrie che sovvenzionano pesantemente i programmi di ricerca dei medici che ne parlano nelle suddette riviste, che vanno ai bambini senza che i bambini ne abbiano bisogno, che curano patologie inventate di sana pianta, che vengono venduti nei supermercati (e non stiamo parlando degli antibiotici o delle aspirine) dopo che il marketing ha fatto il suo sporco lavoro di convincimento. Lo sa in quanti paesi è possibile fare promozione di farmaci direttamente al pubblico? Stati Uniti e Nuova Zelanda. Una maggioranza che parla da sé. E non molto tempo fa, guarda caso, dopo che vari mercati si sono saturati in altri paesi, l’Agenzia del Farmaco ha aperto il mercato italiano a uno psicofarmaco per bambini che qualche anno addietro era catalogato come anfetamina. La differenza qual è? Se un indagato regala una macchina al pm è corruzione, se un medico parla entusiasticamente del farmaco fasullo appena messo in commercio dall’azienda che sovvenziona i suoi programmi di ricerca, invece, si tratta di libertà intellettuale. Me lo lasci dire: è un po’ giustificato che la gente perda fiducia» concluse il Commissario senza perdere la calma, ma ammutolendo col tono di voce ogni tentativo di interiezione di Marinaro.
Il dottore, alle prime, rimase per un momento zitto e sulle sue. Mise le mani in tasca, rimestando nervosamente in quello che dal rumore doveva essere un mucchietto di monete. Poi sorrise, quasi rise:
«È proprio vero: si guadagna di più a essere disonesti, inutile fare qualcosa per gli altri, tanto riterranno sempre che è un tuo dovere».
«In effetti lo è, no?».
Marinaro rimase col sorriso sospeso, «Certo che lo è» disse, e poi, in modo indefinibile, ripeté «Certo, lo è...». D’un tratto parve sul punto di ricominciare, ma si acquietò tutto d’un botto, come se la velocità con cui era divampata e morta la disputa gli avesse dato le vertigini.
«Ha finito, Commissario?».
«Per il momento sì, ma non si allontani dal Villaggio». (continua)