Cosa intendiamo per tolleranza?

La questione è antichissima e risale all’esistenza di una pluralità di religioni in rapporto ad un medesima autorità politica. Qui si parlerà di John Locke, filosofo e medico britannico della seconda metà del XVII, ma le opere sulla tolleranza sono infinite.

Il padre del liberalismo classico sviluppa il suo pensiero immerso nel pluralismo conflittuale avviatosi con la Riforma protestante in Europa.

Inizialmente l’idea di libertà religiosa era strumentale, partendo da un nucleo di verità fondamentali affini ad ogni chiesa si arrivava ad opprimere le ortodossie altrui. Ci fu comunque un primo ripensamento dei rapporti tra Stato e Chiesa in funzione della nuove esigenze sociali. Le prerogative dei governi passarono lentamente dalla sicurezza della nazione alla difesa della vita, della libertà e della proprietà di ciascun individuo della società che superava ogni ragion di stato. La differenza di atteggiamento si rifà alla nascita dell’uomo economico, limitato esclusivamente dall’autonomia altrui, assicurata dalle leggi governative.

Il “Saggio sulla tolleranza”, mai pubblicato, si limita alle vicende politiche inglesi che lo hanno visto protagonista in prima persona. Qui la tolleranza è l’opzione migliore in primis come metodo di governo, poi viene il valore etico religioso che fa da contraltare all’oppressione. La distinzione tra interessi pubblici e privati si sviluppa così in un periodo in cui cattolici, luterani, calvinisti e membri di altre chiese riformate erano portatori di odio reciproco. La politica tollerante significava separare le funzioni, distinguendo tra religione e Stato.

D’altra parte la successiva Epistola de Tolerantia ha un contesto e un tono diverso, pur raccogliendo molte delle precedenti argomentazioni di Locke. La forma dello scritto è più vicina al trattato filosofico generale e dunque la versione pragmatica ha un peso minore, pur rimanendo il dato del magistrato che deve garantire la libertà di culto alle chiese.

Un relativismo estremo porta ad avere una totale impossibilità nello stabilire chi può farsi garante della verità religiosa nei confronti di un altro. La fede investendo il singolo può essere acquisita solo con la persuasione e lo Stato non ha nessuna competenza o capacità di imporla realmente con la forza. Il reale valore dell’opera di Locke non è nell’originalità, ma nella forza con cui le sue tesi hanno cambiato l’atteggiamento dello Stato nei confronti delle pratiche religiose.

Il ragionamento del pensatore d’oltremanica non ha perso vigore con il passare dei secoli: la giustificazione pragmatica, seppur venata di un secolarismo sempre più spinto e vuoto, è ancora utilizzato per conferire credibilità di governo in un sistema democratico. L’argomento etico anche se storpiato da una banale non violenza come bene in sé rimane centrale in alcuni circoli di pensiero, così come il relativismo sempre più imperante. Un valore del genere non conduce necessariamente ad un riconoscimento completo dell’uguaglianza, la libertà d’opinione sviluppata da Locke è ben più critica delle torsioni post illuministiche.

La tolleranza delle opinioni e delle credenze altrui rimane ancorata ad un rifiuto del fanatismo dogmatico, opponendosi ad una forza che vuole il consenso attraverso una totale unilateralità della verità. Potete ben capire che un discorso del genere è tremendamente attuale.

 

 

31-03-2015 | 12:29