Dalla parte non giusta

Un giovane così schietto, paziente, generoso, tutto sua madre. A Legnano in strada Mantegazza li ricordano ancora, da quegli anni quaranta. Data la confidenza, lui lo chiamavano Rubes, invece di Rubens, lei Madalenainvece di Maddalena. Il ragazzo consegnava il latte della centrale, la madre lavava e stirava nell'albergo Nazionale al numero uno della strada Mantegazza. Da contentarsi appena, ma senza guai almeno.

Poi in tempo di guerra venne un'estate che la Madalena si preoccupò: Rubes non era lui, non aveva più la sua faccia. A tavola attaccava il solito discorso, che partiva volontario con altri stupidelli.

"Mamma, la patria chiama, la madre degli italiani. È la nostra madre".

La mamma di Rubes sperava che fosse un momento così, ma tremava: " Tuo padre conosceva Prampolini. Se fosse al mondo, cosa direbbe che vai in guerra per il fascio?"

Il figlio ascoltava assonnato. Mangiava per tre, però assente, apatico. Berto, suo padre, era un ingenuo, nominandolo da vivo. Lo zoppo Scaravèl gli buttò giù il cappello perché la banda suonava Giovinezza e Berto non era mai pronto a scappellarsi. La madre lo ricordava: ecco, ecco chi erano i fascisti. Ma Rubes su certi argomenti diventava di ghiaccio, una stecca di quelle che portava in latteria.

" Mamma, Berto era fatto a suo modo. Far le sfide con Scaravèl, ma chi se ne frega? Mio padre gli piaceva tirare a cimento. Io no."

"No tu no, Rubes, è vero. Perché vai in guerra, allora?"

"Mamma, tu sei vecchia. In Lombardia Prampolini non lo ricordano come da noi. Poi adesso non c'è più politica, da nessuna parte. Anche il Duce c'entra fin lì. Noi combattiamo per il Re e per l'Italia."

"Tu non combatti ancora, non ti pare? tu stai con me e tutti i giorni ti faccio da mangiare e il resto."

Ma a lei non pensava? e anche a lui. Era orfano, figlio unico di madre vedova nullatenente, aveva il diritto di starsene a casa.

"La guerra metterà a posto le cose, mamma. Quando torneremo saremo i vincitori, tutti ci ringrazierete. La patria sarà più grande, più bella..."

Parlavano forte in cucina per sentirsi. Il fragore della ferrovia entrava come un ciclone squassando le pareti. Una volta o l'altra entrava il treno e divorava le due stanze con tutto dentro. La ferrovia statale rasentava il muro di cinta, dietro gli orti, le fettine di terra che gli abitanti coltivavano in comune. Anche le latrine addossate al muro una volta o l'altra partivano.

A letto Rubes fantasticava, correva più delle ruote, metteva le ali. Aveva fatto domanda come aviere e si prospettavano delle buone possibilità. Senza tornio aveva modellato un aeroplanino in alluminio, un monomotore snello e chiaro come un uccello marino. Sua madre sentiva che le cattive compagnie gli rubavano il figlio, ma non poteva chiuderlo in casa come da piccolo. I ragazzi diventano grandi e le madri piccole. Lei, già bassetta e mingherlina, era ancora svelta. Da ragazza saltava come una pulce, ma anche adesso teneva testa alle giovani. Però il tutto non dipendeva dalla forza fisica, dipendeva dall'autorità che i figli non rispettano.

D'altronde Rubes non ascoltava soltanto lei, neanche la morosa. Ascoltava il maestro di ginnastica, alla palestra Littorio dove primeggiava agli attrezzi e il maestro avrebbe voluto addestrarlo anche alla lotta e al pugilato, per difesa personale. Il ragazzo aveva qualità atletiche spiccate e niente vizi, l'ideale. In nome della patria accettò di seguire le esercitazioni premilitari.

La Madalena si tormentava: "Come farò da sola? potrei ammalarmi, sono sola".

"Non credo. Tutto il fabbricato ti conosce, lo sai. Entrano dall'orto e chiamano Madalena Madalena, dieci volte al giorno. Dì che non è vero."

Un po' aveva ragione. Essendo le abitazioni attaccate in fila come in un binario morto lungo la ferrovia, la gente si frequentava. La Madalena, la più vecchia e benvoluta, non l'avrebbero lasciata sola. Poteva anche fermarsi a mangiare dagli altri. Andavano tutti a chiedere la minestra alla mensa dell'acciaieria e volendo mangiavano insieme. La notte però ognuno dormiva nel suo letto. E Madalena lo sapeva, a ogni treno sarebbe passato il ricordo di Rubes.

Quando la tradotta partì nella notte, fece sosta non lontano dalle case. Le reclute dai finestrini chiamavano le morose al buio. I lumi non erano permessi specie dopo il coprifuoco, le voci sembravano lamenti, come ogni cosa che non si vede, anche se la maggior parte scherzava, incoraggiati dalla propria gioventù. Madalena sentì le voci in testa fin quasi a mattina, quando il treno era partito da molto…

Il figlio le scriveva, non la lasciava senza notizie, non diceva dove fosse, ma era soddisfatto. Anche in foto faceva buona impressione, sembrava ingrassato, in tuta chiara da aviere scelto con il collo di pelo. Per poco non lo rispedivano indietro, colpa del nome Rubes che non risultava il suo (la vecchia sussultò "Dio! magari!"); però l'equivoco venne subito chiarito: i ragazzi come lui se li tenevano cari.

"Sporcaccioni"; la Madalena avrebbe sputato sulla lettera di conferma se non fosse stata di Rubes. Comunque si sentiva tranquilla; fino a quando non scesero i tedeschi e il figlio andò con loro. L'ultima lettera, sua madre non sapeva che fosse l'ultima, era molto tenera, non smetteva di leggerla. La leggeva alla padrona dell'albergo Nazionale e ai clienti della milizia che la gradivano perché era la madre di un volontario combattente.

Non sapevano tutto di lei, per fortuna. Madalena aveva nascosto dei ragazzi disertori saltati dal treno, quindi per poco le sentinelle non perquisivano la casa. Un santo ci aveva messo le mani, un santo, anche se Madalena non era di chiesa.

Lei comunque Rubes lo scusava, anche se non si trovava dalla parte giusta. Era buono Rubes. Nella lettera ricordava con dolcezza il loro paese d’origine nella bassa reggiana. La morosa aveva ricevuto da lui una lettera altrettanto tenera e la ragazza piangeva come una vite tagliata. Con sua madre Rubes dimostrava più carattere, usava delle espressioni carine da uomo che torna bambino.

Rimpiangeva il reggiano: i paesi pedemontani, i mercati, i venditori che dormivano sui banchi. "Mamma mi fanno tanto ridere, tanta compagnia". Rubes allora era piccolo, non ricordava bene. Non era poi 'sta gran vita per Madalena, cucire tomaie fino a notte con una Necchi a pedale. Il marito aveva perso il posto di carrozziere, quando le carrozze non servivano più. Era passato all'industria e di grazia se fu assunto alle trancerie Fer-Moxinas con una paga da fame. Aveva due mani d'oro Berto, dava la strada alle seghe, così bene non ci riusciva una macchina. In casa lo stesso, faceva di tutto, in più curava l'orto con un piccolo frutteto, una prugna, un albicocco e un fico. Nessuno doveva cogliere i frutti prima della completa maturazione e lui li contava sui rami. Una volta nel fico lo punse in bocca un'ape assopita. La lingua si gonfiò e per poco non lo soffocava.

Da allora soffrì di circolo e campò un tre anni appena. Dopo la morte, la Madalena disfece la casa e venne su a Legnano con Rubes. Lavorando lei al Nazionale e più tardi Rubes alla latteria, vivevano e avrebbero vissuto finché Rubes non avesse trovato di meglio, che non sembrava improbabile. Il padrone dell'albergo aveva conoscenze tra gli industriali, perché al Nazionale incontravano le donnine. Anche la morosa di Rubes lavorava all'albergo come cameriera e Madalena non era sicura che non si facesse toccare. Non era proprio sicura, specie dopo la partenza di Rubes.

Bisognava rispondergli al ragazzo. La Madalena si fece coraggio e chiese alla padrona di scrivere la risposta. Sentiva nel cuore che doveva mandargli due righe stavolta, "ma se la faccio io ridono, ho frequentato fino alla terza normale soltanto, ho paura che ridano".

La padrona aveva a cuore la Madalena che in albergo si prestava a dare una mano a tutti, anche fuori orario. La risposta le riuscì bene e sulla busta avrebbe messo l'indirizzo "Com'è, Madalena?" domandò la padrona.

Madalena non lo sapeva, non l'aveva mai saputo. Rubes venne in licenza una volta, due, i primi tempi, ma non aveva il permesso di lasciare un recapito.

La lettera rimase in casa. La Maddalena la leggeva e rileggeva. Non riusciva a dormire, non dormiva quasi del tutto e perciò leggeva. Ancora un po' di tempo e l'avrebbe imparata a memoria.

Intanto pensava come recapitarla. Arrivavano vagoni di tedeschi, bastava un po' di coraggio quando si fermavano in stazione. Loro sapevano il tedesco e lo trovavano Rubes, avrebbero domandato di un italiano così e così, un italiano si distingue. Perché poi, si era saputo, combatteva in Russia, in Italia forse non sarebbe tornato che dopo la guerra.

Ogni notte la Madalena tirava fuori la lettera, fin che le cadde di mano. La cercò anche sotto il letto al lume fiacco della lampada, che oltretutto aveva il cappuccio di carta blu per il coprifuoco. Niente, annaspava per niente.

Tornò a coricarsi ma non dormiva. Andò ancora sotto il letto e accese la bugia. Non stette giù molto, ma quanto bastò per accendere il materasso. Il fumo fece accorrere i vicini terrorizzati che fosse un incendio in ferrovia. Trascinarono il letto all'aperto e Madalena che non connetteva, raccomandava che trovassero la lettera, che la spedissero subito, oppure la consegnassero a qualche militare.

"Madalena, non si può!"

Si sforzarono di spiegarle che avevano bombardato Milano e lungo la ferrovia fino a Busto Arsizio. Ormai volavano su Legnano e la popolazione scappava nei rifugi. I treni erano a pezzi, non ne passava uno. 

"Io li ho sentiti poco fa" osservò Madalena accigliata.

Ma le persone non ascoltavano, non avevano riguardo neanche un po'. Non importava proprio a nessuno che Rubes stesse in pensiero.

 

 

28-08-2020 | 10:14