Il bel René e l'origine della discriminazione
In un giorno qualunque di novembre se n’è andato René Girard e sarebbe grande la tentazione di farne oggi un’elegia, esprimendo così l’umana gratitudine del semplice lettore, raffazzonata poveramente in parole spontanee; la tentazione di snocciolare citazioni che probabilmente non serviranno a comunicarne adeguatamente l’importanza varrà comunque come omaggio. Non René Guénon, quell’altro francese, omonimo ed esoterico che veniva dopo nella serialità degli eleganti dorsi Adelphi, ma l’antropologo, il teorico del capro espiatorio e del desiderio mimetico. Nato – forse non a caso – ad Avignone nel 1923, è sbrigativamente liquidato dall’intellighenzia onnisciente come “pensatore cattolico”, destino che nel dopoguerra toccò in sorte a tutti i pensatori non marxisti. Fascista era l’altra opzione.
Girard, membro dell'Académie française, trovò paradossalmente negli Stati Uniti le condizioni ideali per portare avanti un pensiero inedito, strutturato come un albero secolare piantato agli albori della civiltà e germogliato con la venuta di Cristo, qui figura d’ordine, più che di devozione. C’è questo da sottolineare, prima di azzardare fughe accademiche che in tutta sincerità non ci potremmo permettere: a differenza di molti altri sepolcri imbiancati – quanto vorremmo citare Severino per fare della polemica comparativa – il tracciato di Girard incrocia la realtà del vissuto contemporaneo ben più di altre formule speculative, insediandosi nella quotidianità con grande efficacia.
Capro espiatorio dunque, formula di nota origine biblica, che consente al pensatore francese di enucleare un atteggiamento mai mutato dall’alba dei tempi, ovvero quello del sacrificio, termine traducibile anche in epoca moderna con linciaggio, emarginazione, abiura, discriminazione. Quell’attitudine particolare, conclamata in periodi critici, che vede saldarsi il legame tribale dei (presunti) simili proprio attraverso l’individuazione di un elemento estraneo, pericoloso e colpevole a prescindere e per questo sacrificabile nella prospettiva di mantenere la pace nel “villaggio”. Sia questo lo straniero infedele e invasore o il politico corrotto finito nei guai con la giustizia, atteso fuori dall’albergo romano da un lancio di monete, poco importa; Girard mette il dito nella piaga sviscerando l’origine di questa coalizzazione violenta, tesa a tutelare la pace sociale grazie ad una ritualità fondamentalmente ancora selvaggia.
C’è qualcosa che non va in noi da sempre, un problema che s’era offerto di risolvere Gesù attraverso la crocifissione, pacificando così i dissidi e catalizzando la violenza ingestibile della bestialità umana nel suo corpo martoriato, coagulando nel “sangue reale” tutte le faide, dai battibecchi condominiali alla bramosia di ricavare dalla cronaca un nemico globale: antiamericani, antiisraeliani (ah, gli ebrei, i “diversi” per eccellenza!), antislamici, anticattolici, anticomunisti, antifascisti, anticapitalisti, vegetariani contro carnivori, onesti contro corrotti, juventini contro interisti. L’altro da noi è sempre il capro espiatorio, il nemico che ci permette con parassitario riflesso di dipingere l’affresco della nostra fasulla verginità. Scriveva Girard in Vedo satana cadere come la folgore nel 1999: “I popoli non inventano i loro dèi, essi divinizzano le loro vittime”.