Il dopobarba scadente del barone
Eccolo, se ne può avvertire l’odore anche da lontano: un’ombra di dopobarba scadente passato il giorno prima, di forfora croccante, di modeste aspirazioni frustrate, di brada simonia accademica. Deve essercene uno vicino, pensa il conversatore mentre passeggia e intanto si augura di non incrociarlo.
Sebbene oggi sia uno splendido individuo conficcato nella società e avulso da essa, accerchiato dai libri palpitanti con cui ha tappezzato la sua vita, anche lui come ogni ex-studente è addestrato a riconoscere il tanfo del barone universitario: ha allenato il naso nella giovinezza, quando – più sprovveduto e soprattutto iscritto in quella sottospecie di ostello per disoccupati che è l’università – iniziava a impilare la sua muraglia di letture.
Del resto è inconfondibile: una base di coniglio bagnato, con le tipiche note pungenti del mangiatore di cadaveri, aroma di tavoli in formica e accenni di codardia malcelata. Se un giorno venisse commercializzato, il claim sarebbe Eau de con, la fragranza dell’uomo di merda.
Il conversatore, anche se se ne tiene alla larga da sempre, anche se non la sente per anni, è in grado di riconoscerla a cento metri in un giorno di pioggia con la precisione di un cane antidroga.
Speriamo di non incrociarlo, continua a pensare mentre l’odore s’intensifica.
Come tutti i piccoli roditori, anche il barone ha un’innato istinto del pericolo, perciò riesce abilmente a capire chi può vessare e chi no. Ma qualche volta, visto che ha pur sempre l’intelligenza del piccolo roditore, non ci indovina e se la prende con la persona sbagliata, come il giovane conversatore, a cui fa ripetere tre volte l’ultimo esame facendogli slittare di un anno la laurea come vendetta trasversale in una guerra fra accademici.
Si consiglia in casi del genere la lettura di un istruttivo racconto di vendetta covata scritto da Massimo Bontempelli: Ottuagenaria. Lì per lì anche il giovane conversatore non fece una grinza, perché – come scrive Bontempelli – “leggevo libri su libri, e leggendo, mangiando, guardando tutte le pareti di casa, pensavo pensavo pensavo. A cosa? Te lo dirò. Accumulavo”.
E l’accumulare non fa mai bene. Al barone, s’intende.
Quest’ultimo, infatti, è di solito piccoletto, scarno, inetto, imbelle. Il conversatore, che invece si è fatto i muscoli spostando cataste di libri e andando a caccia di coccodrilli, potrebbe sollevarlo da terra e scagliarlo a dieci metri. Ma ciò non sarebbe nel suo stile: occorre un po’ di conversazione, prima. Possibilmente nella pomposa cornice del solito convegno burla, in cui il barone in questione viene invitato a parlare. A quel punto il conversatore si cela nell’uditorio e, al momento delle domande, comincia a chiedere a raffica precisazioni sui suoi lavori passati. Sarà divertente vedere l’imbarazzo del barone, visto che non ne ha scritto nemmeno uno di suo pugno, ma li ha sempre delegati ai suoi schiavetti con borsa. Dopo una prima dose di risposte ridicole, il conversatore – premunito di opuscoli con brani dell’accademico a confronto con le fonti da cui ha copiato – farà un giro distribuendoli fra i presenti, preannunciando l’apertura di un blog dedicato.
Dopo due anni finalmente la vendetta.
Del resto, la vendetta contro il barone universitario, scarso a ingegno quanto a originalità, è più divertente se ritardata, del tutto plateale e cumulativa.
“Era uno spaventoso disgusto, il disprezzo totale... l’odio, odio autentico di cui ci si nutre ogni giorno avidamente come in prigione del pane e dell’acqua... l’odio infinito ed eterno come Dio, l’ho rovesciato fino all’ultimo sopra lui... ho letto forse duemila libri e tra ogni riga vedevo la tua testa pelata e la mia vendetta”.
Anche per questo, laddove dovesse malauguratamente incrociarlo passeggiando, il conversatore è sereno nel predisporsi al pestaggio.