Il lirismo diversamente sobrio
Parlare di alcolici pregiati è quasi sempre pericoloso. Prima o poi si rischia d’incontrare – rischio sempre più tangibile col passar del tempo – l’esperto, quello che ne sa, quello che ha fatto “Il Corso” (da sommelier, s’intende). Niente in contrario col sommelier in sé, ciò che è da temere è il sommelier in me, cioè quello dilettante. C’è chi, avendo acquistato da un bouquiniste nostrano una copia di Duemilavini di tre anni addietro a un prezzo abbordabilissimo, si sente in diritto di tenerti a parlare per tutta la cena sui vini che ritiene imprescindibili. Oppure, siccome gli hanno regalato un libro dal titolo ambiguo come I piaceri del vino, si ritiene capace di cucinare sofisticati manicaretti e di capirne quanto Vatel, spendendo anche belle cifre in qualche enoteca truffaldina.
Il conversatore che non vuol fare brutta figura (e che, soprattutto, vorrà perseguire con la giusta protervia il fine della vertigine etilica) potrà parlare di vini, ma solo tangenzialmente per evitare la sindrome del tastevin. Non appena la conversazione inizierà a disegnare una spirale centripeta verso il moloch dell’amico “che ne capisce di vini”, il buon conversatore dovrà buttarsi in mezzo anima e corpo allo scopo di frantumare il mulinello. È in gioco la sorte della cena stessa, perché da quel momento il sommelier dilettante si sentirà in diritto di dire la sua su ogni portata, su ogni sorsata, su ogni inezia che gli sarà a tiro: dalla tovaglia ai fiori del guardaroba. Questo non è ammissibile e toccherà al conversatore, ultimo eroe di un’epoca senza eroi, salvare i commensali riducendo quella fastidiosa voce commentante all’inanità. Gli sarà utile, per la tenzone, brandire un’arma idonea. Consigliamo a tale scopo Scambio coppie con uso di cucina di Camillo Langone. Il libro, pubblicato da una delle case editrici più enigmatiche in circolazione, è in una collana erotica, ma non solo d’erotismo vi si parla.
Il problema del protagonista è anche uscire indenne da una certa passione per gli alcolici, non slegata da minuta conoscenza delle libagioni meno note. Sarà quindi degno del migliore conversatore stroncare il sommelier di turno informandolo che “un’Albana passita rarissima e mielata, la migliore di Romagna, la uccidono inzuppandoci cantuccini come fosse caffelatte. Un Tocai goriziano da urlo, inizio di fiore-centro di mela-finale di mandorla amara, viene scolato come fosse il vino sfuso delle pizzerie che ogni giorno frequentano. Un Nobile di Montepulciano finalmente li emoziona. Buono, questo vino. Ci mancherebbe, è Fonte al Vescovo di sette anni”. Naturalmente sono parole di Langone, ma sicuramente si adegueranno alla situazione. È questione di pazienza: il sommelier dilettante è uguale in tutto il mondo. Del resto, se non dovesse bastare, calate sul tavolo la lista dei preferiti, il tris d’assi che vi farà vincere la partita: “un Cerasuolo di Valentini che nessuno avrà neanche mai sentito nominare, un Pomino Rosso di Frescobaldi per intimidirli col blasone, un Tignanello Antinori per umiliarli definitivamente”. Questa lista avrà sicuramente un potere propiziatorio sul prosieguo della cena: il sommelier sarà stato sedato e il fine conversatore potrà continuare indisturbato la lenta e metodica strada del lirismo diversamente sobrio.