Il tradimento degli intellettuali

Ci sono espressioni che per la loro forza evocativa entrano nell’immaginario collettivo. Successivamente, come nel gioco del “telefono senza fili”, può capitare che il significato originario sia travisato a causa della somma di numerosi errori di interpretazione.

Questa normale deformazione è avvenuta anche per l’espressione qui analizzata: “La Trahison des clercs”, il tradimento dei chierici, titolo dell’opera più famosa del filosofo e scrittore francese Julien Benda (nella foto). Il saggio, data la quantità di citazioni generate spesso a sproposito, rientra nella categoria dei testi “più citati che letti”. Consapevoli del ruolo primario rivestito dal libro di Benda - il suo punto di vista è necessario per una critica sociale del Novecento – è utile fare chiarezza attorno a questo “tradimento dei chierici”.

La questione tocca il ruolo dell’intellettuale nella società contemporanea e Benda cerca di definire i limiti oltre i quali il chierico tradisce le sue prerogative. Per meglio comprendere dove si compie il tradimento si deve partire dal concetto di chierico ideale presentato da Benda. L’esempio proposto dallo scrittore è quello di Socrate, definito “chierico totale” perché rimase fedele alla sua essenza. L’intellettuale dunque non viene meno alla propria funzione se interviene nel dibattito pubblico, ma esclusivamente se lo fa per impegno politico, tessendo le lodi di una passione realistica. Che si tratti di superiorità della razza, nazionalismo o lotta di classe poco cambia.

E così il chierico è colui che: “non persegue fini pratici, ma che, cercando la soddisfazione nell’esercizio dell’arte o della scienza o della speculazione metafisica”, dichiara: “Il mio regno non è di questo mondo”. Questa opposizione al realismo utilitario delle masse porta l’intellettuale a farsi custode di valori definiti universali, in una prospettiva non rivoluzionaria ma conservatrice degli ideali stessi. Giustizia, verità, ragione e libertà intesa come condizione della persona dovrebbero essere le linee guide del chierico. Ricercando la verità per se stessa e non per rafforzare proclami patriottici, morali o religiosi onora questa ricerca senza tormentarsi attorno ai vantaggi che la sua testimonianza porta alla causa specifica.

Come dunque i chierici si discostarono da questa tradizione essenzialmente greco–cristiana?

Il '900, “Il secolo dell’organizzazione intellettuale degli odi politici”, ha garantito alle passioni politiche la completa universalità. L’individuo dedica un’adorazione religiosa alla propria passione e il suo sentire individuale svanisce nel gruppo di cui fa parte, abbandonandosi alla disciplina e alle varie parole d’ordine prestabilite. La coerenza raggiunta nello scorso secolo è stata massima proprio grazie ad una fitta rete di dottrine sviluppatesi parallelamente alla politica. I manifesti non sono più esclusivamente politici ma anche morali. Si pretende di collocare la passione politica in un’evoluzione storica necessaria dove il proprio movimento non può che trionfare sugli avversari.

In questo senso l’idea di organizzazione tesa a sopprimere la libertà individuale è posta in cima alla scala valoriale dei nazionalismi europei come del comunismo. Da un lato l’attenzione alla patria, dove i sacrifici richiesti dallo spirito nazionale contrastano l’egoismo individuale, viene lodata dal chierico nazionalista in un esercizio di orgoglio condizionato dalla propria particolare razza. Questo modo di pensare è nato in Germania ed Hegel, da buon apostolo dello Stato totalitario, ha rappresentato il punto di partenza ideale per questa serie di ragionamenti.

D’altra parte il tradimento non si è consumato solo a vantaggio della nazione, ma anche a vantaggio della lotta di classe. I cambiamenti economici sono stati sempre più osservati con un materialismo dialettico che, sotto un alone scientifico, porta alla mistica. La libertà scompare e le azioni sono considerate razionali esclusivamente se coincidono con un divenire storico inevitabile. Ovviamente questo divenire è la vittoria del proletariato mentre l’individuo si perde in una pura attesa messianica.

Seguendo queste passioni con spirito pratico i teorici si trasformano così in meri servitori e l’intellettuale non solo smette di custodire i classici valori universali, ma viene totalmente assimilato dalla società. Il lavoro di Benda è il frutto di una lunga serie di riflessioni sviluppate a partire dall’“Affare Dreyfus”, dal nome dell’ufficiale ebreo condannato innocente a causa del crescente antisemitismo e di una difesa corporativa dello Stato Maggiore francese. Ben consapevole che il suo ritratto di chierico era una tipologia ideale spiegò che: “il solo sistema politico che il chierico possa adottare rimanendo fedele a se stesso è la democrazia perché, con i suoi valori sovrani di libertà individuale, di giustizia e di verità, essa non è pratica”.

La sua controversa parabola intellettuale nel dopoguerra, pur restando ostile al marxismo giustificò le epurazioni di Stalin, scatenò i suoi detrattori che non esitarono a chiamare Benda “chierico traditore”. L’odio rivolto al nazismo e al fascismo si tradusse in una sorta di servilismo verso la trionfante Russia del 1948, ma queste contraddizioni non fanno altro che confermare una cosa: il chierico perfetto presentato dal francese, proprio perché ideale, non esiste. 

 

 

07-07-2014 | 11:35