La filosofia nasce con Socrate?
Il libro di Livio Rossetti, studioso di filosofia greca (specie presocratica) e di informatica, ha il pregio di essere un libro semplice, ma non semplicistico.
La questione con cui si apre La filosofia non nasce con Talete, e nemmeno con Socrate è espressa implicitamente già nel titolo: smentire alcuni dei principali schematismi di pensiero, come quello che pretenderebbe di far cominciare la storia del pensiero filosofico con Talete, che è come dire – in termini di effetto spiazzante – che il cristianesimo non è partito da Cristo.
Infatti, Rossetti si interroga chiaramente su «quando e in che veste la parola “filosofia” è entrata in circolo? Come è potuto accadere che si cominciasse a parlare e scrivere di filosofia in Grecia? Per significare che cosa?». Questa domanda serve per spiegare nuovamente alcune cose poco note anche a chi pensa di conoscere la materia.
Un esempio emblematico potrebbe trovarsi nella sinistra fama dei Sofisti, Protagora e Gorgia in testa. Se, infatti, sembra assodato che essi furono solo retori e non filosofi, che furono comunicatori (per quanto geniali) e non filosofi, soprattutto a partire dalle stroncature platoniche, la cosa cambia se si opera una “de-retorizzazione”, che ne lasci scoperti i nervi teoretici. Messa così la cosa può sembrare semplice, ma come Rossetti non manca di spiegare, questa operazione incontra difficoltà a farsi per vari motivi, «tra le concause figurano la connotazione professionale e gli interessi prevalenti di molti interpreti: quasi sempre intellettuali di formazione filosofica, educati a ricercare e studiare le dottrine». Questo, se non un affondo diretto, è certo un ridimensionamento non solo della “filosofia convenzionale”, antica o contemporanea, ma anche di quella che viene chiamata “filosofia accademica”, che – per il modo in cui è strutturata – tende a seppellire i suoi indubbi meriti sotto una montagna di studi ingessati apparecchiati per ottenere quella certa borsa o quella certa cattedra o il favore di quel certo ordinario. Se non per questi bassi motivi, l’insufficienza della filosofia accademica si determina per pigrizia mentale o per scarsa propensione al rischio interpretativo.
Cosa che si ritrova quando, anziché di de-retorizzare i Sofisti, si tratta di “defilosofizzare” – come dice l’autore – Parmenide. Il calcolo, infatti, è presto fatto: Parmenide non si occupò esclusivamente o principalmente di essere, ma in una proporzione decimale rispetto al resto delle cose di cui si occupò, come la razionalità degli animali (questione che poi, strumentalmente, dal Rinascimento fino all’Illuminismo occupò i pensatori interessati a capire qualcosa dell’anima sotto lo pseudonimo di “problema dell’anima dei bruti”) o il motivo per cui la terra non cade nel vuoto o l’individuazione congetturale delle cinque fasce climatiche del globo ecc. Dunque, anche Parmenide, per quanto avesse organizzato una teoria ontologica, è un “naturalista”.
Tutti questi cambi di prospettiva servono a Rossetti per sottolineare come «nel modo corrente di presentare l’opera di Parmenide si è affermata una distorsione di prima grandezza la cui unica giustificazione è l’uso plurisecolare. Ergo, Parmenide andrebbe ristudiato e ripensato in profondità, cominciando col de-filosofizzarlo sulla base di due considerazioni di fondo: (a) se fu filosofo, lo fu senza sapere di esserlo e senza volerlo; (b) in ogni caso, il lato filosofico del poema è circoscritto (corrisponde ai 100-130 esametri del primo logos). Si obietterà che la dea presenta questa sezione con grande enfasi? Non si tratta di dubitare di questo, né di provare a sminuire la rilevanza della sezione ‘ontologica’, ma solo di ristabilire le proporzioni. D’altronde ristabilire le proporzioni equivale da un lato a intraprendere su nuove basi un ripensamento dell’insieme, dall’altro a prendere atto della distorsione che è stata accreditata per millenni nonostante la possibilità, agevole almeno a partire dal 1903, di prendere visione delle informazioni su ciò che si è convenuto di passare sotto silenzio. Potenza dell’immaginario filosofico e della tradizione!».
Ovviamente, la distorsione di cui è stato vittima Parmenide, e come lui i Sofisti o Talete, dovrebbe spingerci a domandarci se questo non sia un modo come un altro per veicolare ignoranza, illudendo gli studenti sul senso e l’utilità della filosofia, allontanando l’uomo empirico dallo studio dei grandi temi filosofici. Una strategia involontaria con cui un gruppo di persone si appropria di un sapere rendendolo ostico e apparentemente lontano dall’utilità pragmatica, mettendone in risalto una piccola porzione buona solo per tenere in piedi le Scuole (prima) e le Facoltà (ora) di filosofia.
In attesa della revisione dei libri di testo, non sarà inutile diventare filosofi a nostra volta, magari rileggendo Talete e domandandoci “Perché proprio l’acqua?”.
Titolo: La filosofia non nasce con Talete
Autore: Livio Rossetti
Pagine: 265
Editore: Diogene Multimedia
Anno: 2015