La ribellione degli oggetti

L’aria freme sul fiume nel mezzogiorno infuocato. Due contendenti ugualmente pericolosi si fronteggiano. Da giorni attendono la loro occasione: non c’è spazio per entrambi sulla stessa barca. L’eroe sfida l’avversario con lo sguardo, uno sguardo terribile fra le ciglia biondicce. Ha i denti candidi, digrignati in una smorfia d’eterno odio. Le unghie affondate nel terreno, pronto a spiccare il balzo che finirà il nemico. Un fremito gli scorre lungo la coda – la coda? Sì, la coda. Il nostro è un fox terrier.

Il cattivo di questa storia è piccolo, rotondetto, di ceramica azzurra. Per la precisione è un bollitore per il tè. La tensione è palpabile. La teiera passa all’azione, rompe gli indugi e soffia vapore incandescente. Al cane la prossima mossa: si può forse lasciare impunita tanta impertinenza?

“Al primo suono emesso dal bollitore balzò su ringhiando e si fece avanti verso di esso in atteggiamento minaccioso. Si trattava di un piccolo bollitore, ma aveva un gran fegato e senza indietreggiare gli sputò contro. «Ah, così!», ringhiò Montmorency, mostrando i denti. «Ti insegnerò io a essere sfrontato con un cane rispettabile, che sgobba duramente; tu miserabile farabutto, sudicio e nasuto! Adesso ti faccio vedere io!». E si slanciò su quel povero piccolo bollitore, e gli azzannò il becco”.

“Allora, nel silenzio della sera, esplose un guaito da far gelare il sangue nelle vene, e Montmorency balzò fuori dalla barca e fece una passeggiata igienica intorno all’isola percorrendone per tre volte il perimetro alla velocità di sessanta chilometri orari, fermandosi di tanto in tanto per affondare il muso in un po’ di fango freddo. Da quel giorno in poi Montmorency nutrì per il bollitore un misto di timore reverenziale, sospetto e odio”.

Nell’universo creato da Jerome Klapka Jerome in Tre uomini in barca gli uomini, o gli animali, spesso si accapigliano con oggetti la cui caratteristica è la reattività. Non utensili proni alla volontà dell’essere superiore, ma veri e propri interlocutori dotati di intelligenza e volitività, pronti a combattere per la libertà, se necessario. In Jerome la cospirazione degli oggetti fa parte di una comicità che vuole, attraverso l’umanizzazione delle cose, esaltare e ridicolizzare le manie dei protagonisti. Ma in altro contesto essa può assumere una veste quantomeno inquietante.

Nel racconto Il nuovo libraio, di Stefano Benni, una libreria antiquaria piena di opere di inestimabile valore viene acquistata da imprenditori senza scrupoli che “amano essere considerati amici della cultura”.

Il precedente proprietario, andato in rovina a causa dell’attaccamento nei confronti dei suoi libri, per ognuno di essi aveva avuto un riguardo speciale: aveva tenuto conto delle loro preferenze, cedendoli solo a persone di loro gradimento, e quando qualcuno era stato venduto premurosamente lo aveva avvertito dei pericoli che avrebbe potuto correre nella sua nuova dimora, consolandolo della partenza e accompagnando il suo viaggio con una carezza.

Il nuovo gestore della libreria, invece, intende trarre il massimo profitto dai preziosi volumi. La ribellione degli oggetti comincia sin dalla consegna delle chiavi. “Una chiave coperta di calcare ferrigno, come recuperata dal fondo dell’oceano, con un’impugnatura ovale attraversata da arabeschi metallici, minuscolo cancello di un giardino di fate. Il collo della chiave è esageratamente lungo e termina in un profilo di mostro dentato, scanalato, in una merlatura tormentatissima come se suo compito non fosse aprire una serratura, ma confrontarsi con lei in una partita di astuzie, mosse e contromosse, dente contro anfratto, pieno contro vuoto, artiglio contro fauce. Come se, una volta entrata nella porta, dovesse rimanere prigioniera per sempre, saldata nell’incastro amoroso. Una chiave non per aprire, ma per sigillare in eterno”. Una chiave che per prima cosa ferisce la mano rapace che la porta via al vecchio, amato proprietario.

Il professor Acanti, acquirente della libreria, si aggira soddisfatto fra le scansie cariche di tesori nascosti. Nonostante quel luogo per lui non sia niente di più che un ottimo affare, non può negare a se stesso di essere un intruso nella comunità vigile e disgustata dei libri, mai solo oggetti, ma sempre interlocutori severi, specchi e custodi della memoria e della coscienza. “Questi libri mi guardano e mi odiano”, pensa Acanti. Per disattenzione e imperizia danneggia irreparabilmente uno dei volumi, e mentre si affretta a disfarsi dei suoi resti sgualcendone e appallottolandone le pagine proprio come se dovesse nascondere le tracce di un omicidio, gli altri testi lo accusano senza appello: “Assassino!”. Attratto dalla possibilità di trovare una rara coppia di tomi si avventura lungo il labirinto degli scaffali, dove i libri gli tendono un agguato, cadendogli addosso dai palchetti e uccidendolo.

Le situazioni tratteggiate da Jerome risultano comiche perché seguono uno schema codificato da Henri Bergson, il quale spiega come gli atteggiamenti umani diventano ridicoli quando evocano il funzionamento di un meccanismo, trasformando la persona in automa. D’altro canto, come nota giustamente l’anglista Guido Bulla, residua dopo la risata un certo quale turbamento: “Questo tiro alla fune psicologico [...] è inquietante perché fa parte di un sottile schema di inversione e degradazione: in questo mondo il cane viene trattato come un essere umano; il pentolino come un animale (magari proprio come un cane intelligente); l’essere umano è invece spesso ridotto alla stregua di un pupazzo. Insomma: all’essere vivente si applicano la rigidità e la mancanza di anima tipiche del burattino mentre gli oggetti acquistano una intenzionalità tipicamente umana”.

Proprio gli oggetti sono protagonisti di alcuni racconti di José Saramago (nella foto in alto), che nel libro Oggetto quasi ne sonda un aspetto nuovo e diverso.

Nel racconto La Sedia Saramago ripercorre con un ritmo narrativo di languida e barocca lentezza la caduta del dittatore portoghese Salazar, caduta non metaforica, o quantomeno non soltanto. Se i tempi si dilatano suggerendo al lettore particolari politici nascosti nelle pieghe della narrazione, di fatto la scena che viene rivelata ai suoi occhi è quella di un vecchio che cade da una sedia rosa dagli insetti, riportando un ematoma cerebrale che lo porterà alla morte. E il fulcro centrale è proprio la sedia, che nel suo rappresentare una situazione ormai fiaccata dall’interno, con la sua caduta determina l’uscita di Salazar dalla scena politica.

Ma è Cose il racconto centrale del libro. La narrazione è ambientata in una società distopica divisa in caste (segnalate da lettere tatuate sul palmo della mano dei cittadini) a seconda del consumo energetico di ciascuno. Soprassiede al sistema un governo dittatoriale che in molti riferimenti torna ad essere quello portoghese. Gli oggetti sono i veri protagonisti della storia. La loro produzione è sotto il controllo del regime, che ne stabilisce gli standard qualitativi e ne gestisce la consegna ai “cittadini utenti”, a seconda della classe di appartenenza. Senonché un giorno gli oggetti si ribellano, dapprima aggredendo gli uomini (il racconto si apre con una porta che chiudendosi ferisce proditoriamente un impiegato), poi addirittura scomparendo, finché la città diventa uno scenario apocalittico nel quale le case spariscono lasciando a terra i proprietari morti.

Il regime decide di bombardare una parte della città per rappresaglia contro gli oumi (gli oggetti, utensili, macchinari e installazioni che si sono ribellati al suo controllo). Ma ecco che mentre tutta la cittadinanza è riunita su una collina per assistere al massacro accade qualcosa.

“Un silenzio assoluto si diffuse sulla pianura. E all’improvviso la città scomparve. Al suo posto, a perdita d’occhio, comparve un’altra folla di donne e di uomini nudi, emersi dalle viscere di quella che era stata la città. Scomparvero i pezzi di artiglieria e tutte le altre armi, e i militari si ritrovarono nudi, circondati dagli uomini e dalle donne che prima erano stati abiti e armi. [...] Dal bosco, allora, uscirono tutti gli uomini e tutte le donne che si erano nascosti lì quando era cominciata la rivolta, fin dalla scomparsa del primo oumi. E uno di loro disse: “Adesso bisogna ricostruire tutto”. E una donna aggiunse: “Non c’era altro da fare, visto che le cose eravamo noi. Gli uomini non saranno mai più rimessi al posto delle cose”.

Dal comico al tragico, la cospirazione degli oggetti diventa specchio e metafora della trepidazione degli uomini, talvolta resi oggetti dal potere. E della costante lotta per la libertà.

 

 

14-09-2014 | 22:43