L'amore che vince sul nulla

Voi mi dite: «Siamo stanchi di stare con i bambini».  Avete ragione. E dite ancora: «Perché dobbiamo abbassarci al loro livello. Abbassarci, chinarci, piegarci, raggomitolarci». Vi sbagliate, non questo ci affatica, ma il doverci arrampicare fino ai loro sentimenti. Arrampicarci, allungarci, alzarci in punta di piedi, innalzarci. Per non ferirli”.

Questo e molto, molto altro ancora, in una bibliografia tanto intensa quanto mediamente ignota in Italia, scriveva il Dottor Janus Korczak – nome d'arte di Henryk Goldszmit – medico, pediatra, scrittore e soprattutto rivoluzionario pedagogo ebreo polacco.  Nato a Varsavia nel 1878 e morto mentre accompagnava i duecento bambini del suo orfanotrofio verso l’inferno di Treblinka, nell’agosto del 1942.

Andrzej Wajda nel 1990 ha realizzato un film – presentato fuori concorso a Cannes - che narra gli ultimi anni di quest’uomo eccezionale, in un poetico bianco e nero e con grande cura per i personaggi, interpretati da un ottimo cast, evidentemente coinvolto non solo a livello professionale nella pagina di storia raccontata.

Difficile reperirne il dvd, ma potrete godervelo per intero (e in italiano) su youtube https://www.youtube.com/watch?v=ohaFySwuYqc&feature=youtu.be grazie all’appassionato lavoro di un talentuoso compositore italiano, Nicola Gelo, da anni impegnato nello studio del lavoro di Korczac.

È un film da non perdere, soprattutto perché manda un messaggio chiaro, urgente e necessario su quanto sia importante affidare l’educazione dei ragazzi a chi possa viverla come una missione fondamentale e totalizzante, un lavoro ad andamento circolare verso l’alto, in continuo divenire creativo e umanamente appagante, da entrambe le parti. “Un buon educatore, colui che non costringe ma libera, non trascina ma innalza, non comprime ma forma, non impone ma insegna, non esige ma domanda, passerà insieme ai bambini molti momenti esaltanti”.

Il protagonista della pellicola, l’ottimo Wojciech Pszoniak, appare in una mimesi tragica e insieme brillante con il personaggio di Korczak, regalandoci momenti di grande emozione soprattutto quando ci offre il ritratto di un vero e proprio missionario, coraggioso e geniale, che seppe creare una comunità illuminata e gioiosa, nonostante le difficilissime condizioni.

La casa dei bambini del Dottor Korczak era una specie di collegio largamente sperimentale sia sul piano didattico sia su quello dell’organizzazione della vita comunitaria: cogestita, dagli adulti e dai ragazzi, come una piccola città, dotata di un’amministrazione in miniatura dotata addirittura di una corte di giustizia, che vedeva imputati tanto gli studenti quanto gli educatori, in una sana e rincuorante parità di diritti e doveri, condizione base per un clima di fiducia che ancora oggi, sessant’anni dopo, pare un’utopia.

Tra dolore, fame e sterminio che segnarono il dramma del Ghetto di Varsavia, “fa bene”, seppur col cuore straziato, conoscere la storia dell’anziano dottor Korczak, che assieme all’educatrice capo Stefania Wilczyńska e agli altri suoi collaboratori, il 5 agosto del 1942, guidarono un corteo di bambini ebrei orfani, tutti vestiti col vestito migliore, marciando fino al treno che li avrebbe deportati nel campo di sterminio, cantando e tenendosi per mano.

Umanità, dignità, amore e coraggio. Queste furono le caratteristiche e gli insegnamenti alla guida della vita di quest’uomo straordinario, che diceva di non poter nemmeno immaginare di odiare qualcuno, di non esserne capace. “Non auguro a nessuno del male. Non ne sono in grado. Non so come si faccia”.  Avere orrore dell’odio anche mentre vai a morire, senza senso, con i tuoi bambini per mano.

Perché se insegni l’amore e con amore, non sai tornare indietro. Questa è una condanna, ma anche la più grande vittoria dell’Uomo sul nulla.

Dottor Korczak, di Andrzej Waida (Polonia, Germania, UK 1990)

 

 

30-11-2015 | 11:51