Le confessioni di Bacon
E come estetica.
Emozione - Da Vasari a Hogarth, da Delacroix a Kandinskij, da Chagall fino a Bacon e Dubuffet, i pittori hanno sempre scritto di estetica e, in molti casi, con la stessa passione destinata alle loro tele. Ci sono pagine del “Diario” di Delacroix, note da “Lo Spirituale nell’arte” di Kandinskij o “Confessioni” di Bacon a David Sylvester talmente piene di vitada suscitare nel lettore impressioni altrettanto intense quanto quelle provate dallo spettatore alla vista dei loro dipinti. Di converso - sembrerebbe ovvio, ma in fondo è meglio ribadirlo - ogni loro quadro non è solamente il frutto di istinto, sentimento e sapienza tecnica, ma è anche, per citare Leonardo, “cosa mentale”, cioè progetto e ragionamento.
L’avvento dell’Arte Concettuale ha introdotto un cambiamento radicale nelle modalità di creazione e percezione delle opere . Quel “pensare con le mani” di cui parlava Annibale Carracci, così fisico e sensuale, è diventato un “manipolare il pensiero” che si concretizza principalmente nel discorso. Così, la definizione di un’opera finisce per costituirne la totalità. E, in questo modo, essa esprime solo la propria esistenza, mentre è la scrittura che si incarica di sancirne il contenuto, come una specie di istruzione per l’uso razionale. La forma prende il sopravvento sulla vita e l’arte devitalizzata, mettendo al bando la sensazione, si trasforma paradossalmente in estetica. Senza più concedere nessuno spazio all’emozione, il suo unico oggetto è il concetto di se stessa, realtà autonoma ed indipendente da un qualsiasi legame ad un sostrato affettivo, sentimentale o psicologico. Vedi Tautologia.
Empatia - Einfühlung è il termine tedesco al quale corrisponde il nostro “empatia”. La sua definizione, quale funzione psicologica fondamentale per l’esperienza estetica, si deve al filosofo Theodor Lipps che, nel saggio del 1906 intitolato “Empatia e godimento estetico”, la descrive come “simpatia simbolica” o “percezione delle proprie energie vitali in un oggetto sensibile”. In parole povere e in sintesi, il senso dell’arte risiede, secondo Lipps, nella solidarietà che nasce tra lo spettatore e l’autore grazie ad un’opera intesa da entrambi come un atto di comune adesione alla vita.
A titolo d’esempio, Bacon voleva che i suoi dipinti producessero nello spettatore la sensazione dell’essere organico, come se un’esistenza umana li avesse attraversati lasciandovi la traccia del proprio passaggio e le scorie della realtà percorressero l’immagine in forma di pennellate, al pari della scia traslucida di una lumaca che disegna il suo percorso sull’erba. In buona sostanza, con questa similitudine, auspicava che nei suoi quadri si trovasse la vita.
E chiunque abbia fatto l’esperienza di provare un’emozione davanti al lavoro di un artista, sa per certo che in quel momento stava pensando alla propria vita. Si trattasse di semplice piacere, di fascinazione, di commozione, oppure anche di perplessità e perfino di repulsione, l’opera gli stava dicendo qualcosa di lui e non qualcosa su se stessa. Qualcosa di fortemente radicato dentro l’esistenza sua e di ogni altro uomo, qualcosa di universale, si sarebbe detto in passato.
Grazie al cielo, ancora oggi, esistono artisti che remano controcorrente per mettere la vita al centro del loro fare, scegliendo come soggetti privilegiati l’Uomo e non l’Arte, la psiche e non la techné, la sostanza e non la forma. Perché quello che importa in un’opera è appunto quell’attenzione delicata e profonda alla condizione umana, quella capacità di penetrarla con acutezza e di parlarne con intenso sentire, che siamo soliti chiamare umanità.
F come fantasmagoria.
Fiera – Non è il nome generico di una bestia feroce (o forse sì), ma il luogo di massima eccitazione per il piccolo mondo dell’arte contemporanea.
Il giorno della vernice ci sono tutti gli “addetti ai lavori”. I mercanti con i capelli impomatati e le scarpe rigide, i collezionisti con le scarpe impomatate e i capelli rigidi, le loro mogli con i seni a punta e i capelli cotonati, le loro amanti che di nascosto ridacchiano dei seni delle mogli, o dei loro capelli, i critici in cerca di padrone, i direttori dei musei attenti a non farsi rubare il padrone dai critici, gli artisti famosi che simulano timidezza dietro una coppa di champagne e quelli rampanti che ostentano sicurezza mentre danno timidamente la caccia a una coppa di champagne. E poi tanti, tanti giovani, possibilmente trasandati e con lo sguardo cupo, in attesa che finalmente arrivi il giorno in cui avranno i capelli rigidi e le scarpe impomatate. Ci sono gli americani, che vogliono portare in Texas tanti quadri astratti quante vacche pascolano nelle loro praterie, i russi, che Dio li benedica perché non sanno quello che fanno, i cinesi, che comprano solo ritratti di gente che gli assomiglia, i francesi, a caccia di opere rigorosamente incomprensibili e a buon mercato, i tedeschi, da secoli piuttosto diffidenti e leggermente aggressivi, gli italiani che contano sulle permute e sperano nelle rateizzazioni ventennali. Tutti sciamano nei corridoi e negli spazi espositivi, famelici e felici, anche se un poco annoiati. Ci sono migliaia di opere, chilometri di pittura, tonnellate di scultura, ettari di fotografia, un numero enorme di installazioni e video-installazioni ed anche qualche performance. Una vera orgia visiva. Pittura/pittura, anti-pittura, neopittura, cattiva pittura, pittura materica, pittura concettuale, pittura/scultura, sculture dipinte, disegni di scultori, ritratti di scultori, fotoritratti di scultori e pittori, fotografie di collezioni di quadri ed anche di fotografie, video di performances ed anche video di videoperformance, qualche performance sull’importanza della video-arte. E poi fiumi di chiacchiere, di botox e di soldi, che scorrono impetuosi in questa valle dell’Eden da luna park, fantasmagoria posticcia destinata a chiudere i battenti nel giro di pochi giorni, per riaprirli il mese successivo alla stessa clientela, ma qualche fuso orario più in là.
Forse – Parola bellissima alla quale i dizionari dedicano solo poche righe. Come avverbio o come sostantivo, indica il luogo mentale dell’incertezza e della possibilità. Quello che si apre dopo un “forse” è sempre uno spazio libero in cui le cose verranno eventualmente alla luce, generate dall’incontro del caso con la necessità. Ed è lo spazio della speranza, degli slanci e delle invenzioni, quindi lo spazio dell’arte.
Se non avessimo concepito il termine, saremmo prigionieri di un presente fatto solamente di certezze tangibili, negato ad ogni forma di immaginazione, claustrale e senza vie d’uscita. Di certo non è una casualità se il motto che campeggia sul soffitto della Sala del Labirinto, nel Palazzo Ducale di Mantova, è “Forse che sì, forse che no”. Cos’altro potrebbe spingerci a cercare un percorso nelle strettoie ritorte dell’esistenza, se non l’ipotesi di un’avvenire senza direzioni obbligate? Ipotesi che sta tutta nell’incertezza di quell’alternativa e nelle mille proiezioni di fantasia che ne possono scaturire.
È nel “forse” che nasce la fantasmagoria, quella vera, quella che sta nel cuore e nel pensiero degli artisti, quella che colpisce i sensi e l’immaginario, quella che inventa e innova.
G come Goya.
Goya – Certo – sia detto per il gusto dell’aneddoto – nel 1771 l’Accademia di Belle Arti di Parma lo ritenne inferiore allo zelante Paolo Borroni da Voghera e gli negò il primo premio del concorso di pittura, classificandolo al secondo posto. Ma, al di fuori dei confini della lungimirante cittadina ducale, Goya è stato il primo e resta il massimo pittore dell’era moderna. Ne è il progenitore artistico e ne incarna l’espressione più alta.
La sua opera si dipana lungo quell’arco di tempo che va dalla pubblicazione del “Candide” di Voltaire agli ultimi fuochi della Restaurazione ed è attraversato dall’ incommensurabile uragano della Rivoluzione Francese. Sono gli anni in cui il Mondo cambia come mai prima e, con esso, l’arte ed il suo oggetto. L’ordine “divino”, arcaico e in apparenza immutabile, è radicalmente stravolto dal pensiero “troppo umano” dell’età dei lumi. Ma anche il nuovo corso, ispirato ai dettami della dea Ragione, si trasforma a sua volta nella tenebra del Terrore. Scompaiono i roghi dell’Inquisizione mentre si moltiplicano le ghigliottine della Repubblica perché “il sogno della ragione genera mostri”. Così, abbandonati i massimi sistemi e i grandi ideali, l’uomo si ritrova solo. E, a tu per tu con se stesso, al pittore non resta che fronteggiare le proprie paure, i propri demoni, il proprio disincanto.
Questo è quello che Goya ha saputo fare come nessun altro, proprio in quella Calle del Desengaño (Via del Disincanto) nella quale abitava e dove ha inciso i meravigliosi Capricci, atto primo e fondamentale di un’arte che non descrive più il mondo di sopra o il mondo di fuori, ma quello di dentro. Quel mondo che egli vedeva ad occhi chiusi e rendeva visibile anche a coloro che gli occhi non li volevano aprire.
Da allora ad oggi la storia dell’arte non ha più conosciuto episodi di maggiore chiaroveggenza.
H come Hiroshima.
Hiroshima – Dai racconti dei sopravvissuti, ciò che venne percepito a terra fu una luce improvvisa e accecante, mescolata a un’onda travolgente di calore. Le persone più vicine all’esplosione furono istantaneamente carbonizzate. Le sagome di alcuni corpi rimasero letteralmente stampate come ombre nere sui muri, gli uccelli presero fuoco in volo e ogni cosa fu incendiata in un raggio molto vasto. L’enorme lampo bianco provocò ustioni lungo i bordi degli abiti anche a coloro che si trovavano a grande distanza. Quasi immediatamente seguì l’onda d’urto che raggiunse l’interno degli edifici: le finestre esplosero e si scatenò una tempesta di schegge di vetro che volarono fino alla periferia della città, travolgendo tutto e tutti. Poi, le costruzioni cominciarono a crollare, una dopo l’altra, dal centro verso il perimetro dell’abitato. In un brevissimo lasso di tempo non rimase che una distesa di macerie avvolte dalle fiamme e dal fumo, cadaveri inceneriti e carcasse di animali coperte di polvere nera.
Un’apocalisse che fino ad allora il genere umano aveva solo immaginato attraverso i peggiori incubi dei santi, dei poeti e dei pittori. Il sogno di tracotante progresso degli scienziati e dei guerrieri l’ha trasformata in realtà grazie alla tecnologia.
- continua -