Le puttane di Franz Kafka
Nel settembre del 1911 due giovani praghesi approdarono alla Stazione Centrale di Milano: erano Franz Kafka e Max Brod. Provenivano dalla Svizzera e, nonostante la presenza di alcuni casi di colera, decisero di includere Milano e i laghi del Nord Italia nel loro itinerario di viaggio verso Parigi. La giornata era caldissima (in quei giorni l’Osservatorio di Brera registrò temperature oscillanti tra i 32 e i 35 gradi), ma i due sfidarono ugualmente la canicola del primo pomeriggio per raggiungere a piedi il centro della città, dove si sedettero al tavolo di un caffè per ristorarsi e osservare il traffico cittadino. Passeggiarono un po' per il centro cercando un albergo dove alloggiare e in serata si recarono al Teatro Fossati, nella zona di Brera, dove andavano in scena alcuni classici del teatro dialettale milanese interpretati da Edoardo Ferravilla, un attore che all’epoca godeva di grande popolarità presso il pubblico meneghino. Seduto nella sua poltrona Kafka faceva vagare lo sguardo sui volti dei presenti, sul loro abbigliamento, ma le pièces erano incomprensibili alle orecchie dei due amici che decisero di abbandonare il teatro e inoltrarsi in una notte densa di promesse.
Ripercorsero le vie del centro verso l'inizio di via San Pietro all'Orto. Qui, a ridosso del Corso principale della città, scintillava un'insegna suggestiva e vagamente mistica Al vero Eden: una casa di tolleranza ben nota ai milanesi, un luogo pressoché leggendario, lussuoso, frequentato da alto borghesi e intellettuali, e la sua fama per il gran numero di ragazze che ospitava aveva valicato i confini italiani, suscitando certamente la curiosità dei due praghesi che ritennero l'Eden una tappa imprescindibile. Giunti di fronte all'ingresso, dopo essersi destreggiati nel dedalo di viette e nell'andirivieni dei passanti che affollavano la zona nonostante l'ora tarda, i due fecero il loro ingresso attraverso la piccola porta. A questo punto ci vengono in aiuto i diari in cui i due amici annotarono impressioni estremamente divergenti. Max Brod si sofferma sugli ambienti: “...si salgono le immancabili scale, specchi sul soffitto e sulle pareti laterali, nella sala principale solo tre panchine ricoperte di stoffa verde lungo le pareti...” ma il luogo non lo esalta: le ragazze gli sembrano anonime “...forse perché le puttane di tutto il mondo hanno lo stesso viso...” e l'atmosfera di attesa composta e silenziosa gli ricorda la sala di aspetto di un medico. Non c'è allegria “...nessun ballo, nessuna consumazione. Soltanto un nudo guardare”.
Più sensuale e idealizzante è invece lo sguardo di Kafka: si posa sulle trasparenze “...il ventre si dilatò come le quinte di un palcoscenico dietro i veli...” coglie i piccoli gesti “...una figura da monumento che imperiosa infila nella calza il denaro appena guadagnato....”. Le donne non gli sembrano affatto tutte uguali: c'è quella col volto spagnolo, stretta nel bustino di seta e la francese dalle “ginocchia tonde, loquaci e affettuose”. Ma, mentre all'inizio dell'avventura Kafka si sentiva leggero e disposto a tutto, all'interno della casa, dove l'aria era calda e mossa appena da un ventilatore, cominciò a sentire il suo corpo farsi sempre più pesante, forse a causa dell'imbarazzo o del senso di colpa, e volle andarsene, costringendo anche l'amico a una fuga repentina. Annota Brod che se ne andarono “senza aver sfiorato e neppure rivolto la parola a nessuna delle ragazze”.
Questa fuga precipitosa richiama irresistibilmente le pagine conclusive dell'Educazione Sentimentale di Flaubert, in cui i due protagonisti Frédéric Moreau e Deslauriers, giunti a un bilancio della loro vita, rievocano un episodio di gioventù. Poco più che adolescenti si erano recati in una maison appena fuori dal paese, qui, stordito dall'emozione e dalle donne che gli si offrivano, Frédéric era scappato col denaro in tasca e Deslaurier, che non aveva un soldo, era stato costretto a seguirlo suo malgrado, qualcuno li aveva visti e ne era nata una storia di cui il paese aveva parlato per anni. Questo ricordo evoca nei due protagonisti, ormai consapevoli del loro fallimento esistenziale, un affetto tenero e nostalgico.
Non ci è dato sapere quale ricordo abbiano serbato Kafka e Brod della visita all'Eden, ma sicuramente quella sera il ritorno all'albergo fu mesto e carico di senso di colpa. Il giorno successivo Kafka si scusò con l'amico per averlo coinvolto nella fuga e nel suo diario scrisse di un “triste coricarsi” e di un ancor più sconsolato risveglio per le promesse che la notte milanese non aveva mantenuto.