L'eleganza secondo il conte
Scriveva il conte Giovanni Nuvoletti nel volume “Elogio della cravatta” pubblicato nel 1982: “È facile riconoscere comunque, nel serico emblema della vanità maschile, la quintessenza della futilità delle mode, e insieme la perennità della Moda, fragile quanto imperitura Signora”. Come poter dar torto a parole così sagge per definire un capo tanto importante quanto frivolo? Solo un vero gentiluomo d'altri tempi, come il conte Nuvoletti (nella foto), uomo di vasta cultura e di fine ironia, presidente dell'Accademia Italiana della Cucina, ma soprattutto grande arbiter elegantiarum, poteva stilare un volumetto così interessante per esaltare l'accessorio dell'eleganza maschile per eccellenza.
La cravatta, semplice striscia di seta tanto amata dal nobile mantovano, rappresenta ormai da secoli il massimo simbolo dell’eleganza maschile, ed ha attraversato il tempo mutando le più disparate forme e i più diversi colori, rimanendo però sempre fedele compagna e segno di distinzione del gentiluomo.
È difficilissimo definire precisamente quando sia stata indossata la prima cravatta. Già i legionari romani si avvolgevano il collo con una sciarpa purpurea che faceva parte della loro uniforme e che chiamavano “focale”, nome che già in sé definisce la massima importanza di questo accessorio, e al quale i superstiziosissimi romani attribuivano poteri al limite del soprannaturale. Ne ritroviamo una raffigurazione sulla Colonna Traiana. Saranno però i mercenari croati al servizio dei Re di Francia, nel diciassettesimo secolo, a stingere i loro colletti con questo accessorio di una forma che ci appare oggi modernissima e a legare per sempre il loro nome a questo accessorio che sarò subito adottato per vezzo dalla nobiltà francese e chiamato “croatta”. Luigi XIV in persona, all’età di sette anni, cominciò a indossare la cravatta, che divenne immediatamente un capo d’obbligo per tutta la corte di Versailles.
Il re inglese Carlo II cominciò a indossare cravatte molto costose, variopinte ed elaborate, ma più che strisce di tessuto erano più simili a fiocchi grande e vaporosi. Il primo modello che può ricordare la cravatta attuale è di origine statunitense e risale al 1700 e fu popolarizzata dal pugile James Belcher. Per tutto il secolo dei lumi le nobiltà europee fecero a gara per indossare cravatte sempre più complesse e, come era stato per la gorgera nel secolo precedente, le cravatte diventarono enormi quasi fino a ricoprire interamente il petto e le spalle. Le follie barocche dei nobiluomini francesi arrivarono ai massimi eccessi sul finire del secolo con costumi coloratissimi, parrucche gigantesche, foulard svolazzanti e gioielli mastodontici; sarà solo la rivoluzione francese a dare un “taglio netto” a questi eccessi, in ogni senso.
All’inizio del diciannovesimo secolo George Bryan Brummel introdusse una moda innovativa e rivoluzionaria. L’uomo che per molti fu il primo dandy, oltre che un grande stilista, impose costumi severi e austeri, ridefinì il concetto di eleganza bollando le mode francesi del secolo precedente come ridicolaggini ed esagerazioni. Il look di Brummel, che suscitò subito scalpore, continua a influenzare le mode maschili ancora oggi: frac blu, panciotto, pantaloni a tubo, stivali neri lucenti e fazzoletto da collo rigorosamente bianco bianco ed inamidato. La sua austerità era tale che molti nobiluomini inglesi si scandalizzarono del fatto avesse solo due inservienti ad aiutarlo nella vestizione mattutina. Brummel aveva però per il fazzoletto da collo una maniacalità tutta sua: qualora il primo nodo non fosse stato perfetto, non si sarebbe concesso un secondo tentativo con lo stesso fazzoletto. Inutile dire che ne possedeva a centinaia.
Arrivando alla fine dell’austero ‘800 vediamo la creazione delle cravatte impropriamente chiamate regimental (cioè a righe) quando membri dell'Exeter College di Oxford tolsero i nastri dai propri cappelli per annodarseli al collo creando in questo modo la prima vera cravatta da club. Nel 1880 ordinarono a un sarto di creare appositamente dei nastri con i colori del club, dando così il via a una moda che contagiò presto club, college e reggimenti militari inglesi. Sempre sul finire del secolo il bianco lasciò il posto al nero come colore predominante, importante fu il ruolo dei poeti maledetti francesi, in particolare di Charles Baudelaire, nel popolarizzare questa moda.
Nell 1924 la cravatta assunse la forma che conosciamo oggi per merito del sarto newyorkese Jesse Langsdorf, che tagliò il tessuto con un angolo di 45° , impiegando tre strisce di seta da cucire successivamente. L'idea venne brevettata ed esportata in tutto il mondo e ancora oggi le cravatte di qualità, sono create nello stesso modo. Tra le nazioni che più hanno saputo nobilitare con l’alta sartoria l’accessorio tanto caro al conte Nuvoletti, nel ventesimo secolo spiccano l’Inghilterra e l’Italia. Il nostro paese ha una grande tradizione di maestri cravattai famosi in tutto il mondo, impossibile non citare, tra gli altri, Tincati di Milano, Corneliani di Mantova, Marinella di Napoli, Finollo di Genova, Neuber di Firenze.
La cravatta è stata poi rivista e reinterpretata in ogni colore, fantasia e materiale, rifiutata come eredità borghese nel ’68, resa capo non più obbligatorio anche in contesti formali, uccisa da una moda che non la riconosce più come unico verso simbolo dell’eleganza maschile. Ma se la cravatta è morta, per citare di nuovo conte Nuvoletti: “Evviva a questo cappio ribelle, effimero nodo, velleitario capestro, nappa vanagloriosa, giulebbosa fibula, femmineo lezio, albagioso arcifànfano, reliqua aristocratica, relitto borghese, rottame ottocentesco, muliebre residuato di un maschio vestire. La cravatta è morta, viva la cravatta!”.