L'orribile fiera della modernità

Jean Clair è uno dei maggiori storici dell’arte della nostra epoca. Ha concepito esposizioni di qualità ineguagliata, come L’âme au corps o La mélancolie, ha scritto saggi di capitale rilevanza, quali Critica della modernità o La responsabilità dell’artista, è stato a capo di istituzioni museali dell’importanza del Musée Picasso di Parigi e, con una mostra indimenticabile, dal titolo Identità e alterità, ha perfino curato il centenario della Biennale d’arte contemporanea di Venezia. Ma, il suo pensiero non si è mai limitato alla sola sfera delle belle arti e, andando costantemente oltre la prospettiva storico-estetica, si è spinto da sempre nel campo più vasto della morale, per assumere il carattere di un’intensa riflessione filosofica.    

La part de l’ange è il suo nuovo libro, pubblicato nella Collection Blanche di Gallimard alcuni giorni or sono. Più che di un saggio, si tratta del diario ideale di un pensatore, del ponderoso giornale di bordo al quale un uomo dalla sensibilità febbrile, con insaziabile curiosità e altrettanta erudizione, ha affidato note, memorie, inquietudini e analisi relative alla vita vissuta, al nostro tempo ed alle travagliate vicende che lo agitano.

Il titolo merita una spiegazione perché la sola traduzione letterale non ne chiarirebbe il significato. In effetti, “la parte dell’angelo” è l’espressione che si usa in francese per definire la porzione di alcol evaporata durante l’invecchiamento dei distillati nelle barriques, in altri termini lo spirito. Ma, in alcune regioni di quella Francia contadina che è disseminata di grandi e antiche fattorie, e specialmente in Mayenne, terra d’origine dell’autore, le stesse parole stanno ad indicare anche la stanza di un defunto, quando non è più abitata al fine di preservarne la  memoria e rendergli omaggio.

Così, anche se a prima vista enigmatico, questo titolo annuncia in modo evocativo tutto il contenuto del volume che, tra nostalgia e indignazione, si rivela pagina dopo pagina come  un vibrante atto d’accusa della contemporaneità. Contro la dissipazione dell’eredità spirituale del passato, contro il materialismo ottuso ed esclusivo, contro la progressiva scomparsa di valori millenari, che dapprima il XX secolo ha ripudiato e poi il XXI ha definitivamente cancellato.

Gli interrogativi che il libro pone prendono spunto sovente da questioni di ordine estetico, ma immediatamente ne travalicano l’orizzonte circoscritto perché Jean Clair intende l’arte come il rivelatore più attendibile del grado di evoluzione di una civiltà nella sua interezza.

Dove andrà a finire una società nella quale gli oggetti di culto, rimpiazzati dai cascami materiali della cultura, sono divenuti beni di largo consumo e l’aspirazione alla bellezza si è trasformata in rincorsa dello sbigottimento? Una società in cui il senso, e quindi il valore, delle opere è stato sostituito dal loro prezzo di mercato. La contemplazione del mistero scambiata con la pratica sterile di un’enigmistica buona tutt’al più come passatempo. La tensione verso l’eternità soppiantata dalla necessità di fagocitare e digerire tutto immediatamente.

Scorrendo le pagine spesso amare e sempre eleganti di questo appassionato monologo interiore, si incontrano anche risposte di lucida disperazione : “...tutto viene gettato nelle fogne, la cloaca massima dei rifiuti quotidiani, con un’agitazione di natura escrementizia, un bisogno continuo di esprimersi con la sporcizia, di imbrattare, di deteriorare, di seppellire sotto l’accumulo tutto ciò che capita sottomano… Fecalizzazione di una società che non è diventata  permissiva, ma si è piuttosto lasciata andare al godimento di un narcisismo puerile del quale Freud aveva analizzato le origini e gli elementi, una fusione anale destinata a possedere il mondo”.  

E, com’era lecito attendere, Jean Clair non trascura il risvolto politico dell’analisi: “Basta vedere il genere di opere che, appese dietro le loro poltrone, ornano gli uffici dei ministri, dei presidenti dei consigli d’amministrazione, dei più alti dirigenti delle istituzioni internazionali, a New York, a Berlino, a Bruxelles. Sempre le stesse, con le stesse dimensioni, invariabilmente astratte, senza nulla di comprensibile che possa proiettare anche una pallida luce sulle idee, le promesse, le convinzioni o i tradimenti e le ipocrisie dell’uomo importante che le ha piazzate al di sopra della propria testa. Solo macchie, punti, graffi, aloni colorati. Nebulosa informe e spesso di un’indicibile bruttezza, immagine fedele della vaghezza e dell’inanità delle decisioni che questi potenti pensano di prendere”.   

Nel pensiero di Clair, l’hybris, vale a dire, con una parola che non rende appieno il contenuto del termine greco, la tracotanza, è senza dubbio il peccato mortale di cui la nostra epoca si è irrimediabilmente macchiata e nel quale essa persevera con ostinazione cieca. Quella tracotanza che ha dato forma, via le successive rivoluzioni tecnologiche, industriali e post-industriali, a un mondo convinto di poter fare a meno dell’ “angelo” e che, ritenendolo inutile simbolo dell’immateriale, lo ha bandito, per liberarsi dalla vincolante presenza di un’assenza, dall’ingombrante memoria del tempo passato. Proprio quel tempo in cui le opere d’arte racchiudevano un significato, un valore, un insegnamento e l’uomo non viveva nella puerile illusione della propria onnipotenza. Né, tantomeno, nell’assurdo orgoglio dell’ego hic et nunc, nell’irragionevole convinzione che lo sviluppo coincidesse con il progresso e, di conseguenza, non conosceva né la produzione di beni di consumo di massa né quella di armi di distruzione di massa, né il turismo di massa né le migrazioni (deportazioni) di massa, né i mezzi di comunicazione di massa né la solitudine di massa.

“La part de l’ange” lascia appunto intendere che l’ora della nemesis stia giungendo. A forza di profanare ciò che dovrebbe essere considerato sacro, di abbattere frontiere fisiche e mentali che difendano l’identità delle persone e quindi il senso del loro essere, di alleggerire il contenuto delle loro opere per facilitarne la degustazione, di fiaccarsi in un edonismo senza piacere e, a fortiori, senza felicità, di inventare macchine che dovrebbero agevolare il lavoro ed invece lo sottraggono a chi lavora, gli uomini finiranno per perdere la totalità dei loro poteri.

“Mi chiedo talvolta come finirà il Mondo. Sommerso dalle acque dei mari?  Asfissiato? Vittima di una genesi alla rovescia che mescolerebbe nuovamente terra e acqua? Sarà piuttosto a causa di un gigantesco guasto elettronico che, in un istante, cancellerà i dati nei quali è conservata la memoria del Mondo. Il virus sarà l’insetto della fine dei tempi, specie sconosciuta del bestiario – cavallette e dragoni – di cui parlava Giovanni a Patmos…. Quella che viene chiamata con tanta superbia la rivoluzione elettronica in realtà non è altro che l’ultimo episodio della distruzione delle biblioteche….Il disastro che si sta compiendo sotto i nostri occhi è altrettanto più profondo che è accompagnato dall’entusiasmo di coloro che alimentano con orgoglio i nuovi autodafé per lasciare spazio alla potenza illimitata dei big data”.

I detrattori di professione, è ovvio, sfoglieranno rapidamente (nel migliore dei casi) questo diario ricco di verità e poi, in nome della dea Modernità, si metteranno a starnazzare insulti contro il pessimismo ed il passatismo dell’autore, prima di tornare a venerare i loro idoli gioiosi a forma di palloncino in acciaio smerigliato. Alle suffragette dell’avanguardia e ai chierichetti della moda, il libro fornirà il pretesto per cinguettare qualche scemenza, mentre sculettano nei corridoi di un’orribile fiera alla ricerca di una coppa di vino bianco offerta dal banchiere di turno. I banchieri, i ministri e i faccendieri di ogni genere saranno troppo impegnati ad ammassare montagne di spazzatura firmata nei depositi  di un porto franco per permettersi di perdere tempo nella lettura. Gli artisti con la tessera, così cari alle case d’asta, faranno scongiuri con una mano mentre con l’altra telefonano all’officina o allo studio grafico dove zelanti impiegati stanno realizzando al computer la loro nuova opera. E il pubblico pagante delle “grandi mostre”, in pantaloncini, ciabatte e canottiera, tra un panino e una birra, non troverà il posto per riporre il volume nello zainetto che immancabilmente lo accompagna nelle lunghe file d’attesa.

A tutti gli altri la lettura, lenta e attenta, di “La part de l’ange” è vivamente consigliata.   

Jean Clair – La part de l’ange – Gallimard – collection blanche – 416 pp.

 

 

07-02-2016 | 23:39