Poesia al cioccolato e fragola
A chi ancora si stesse chiedendo nozze gay si/nozze gay no, o, meglio ancora, a chi stesse valutando l’importanza reale di questo tema, come di tutti quelli collegati ai diritti LGBT (lesbiche, gay, omosessuali, transgender), consigliamo la visione di un film particolarmente ispirante, ovvero “Fresa y chocolate” (Fragola e cioccolato) , di Tomas Gutierrez Alea e Juan Carlos Tabio.
Realizzato nei primi anni Novanta ed ambientato nella Cuba del 1979, forse avrebbe avuto più immediata fortuna se avesse mantenuto il titolo del libro da cui è stato tratto, ovvero “El lobo, el bosque y el hombre nuevo”, di Senel Paz (che si è occupato anche della bellissima sceneggiatura della pellicola).
Perché è di questo che si parla, nella storia e nella vita: dei lupi, dei boschi e di chi sa cambiare.
Di chi si attacca a delle idee rigide e date per buone a occhi chiusi per sentirsi più sicuro e meno solo nel mondo, di chi al contrario accetta la sfida dell’ignoto e delle proprie ed altrui paure e, infine, di chi sceglie di conoscere e riconoscere il valore della libertà, nascendo una seconda volta (o forse la prima, se vi pare).
David è un giovin “macho” rivoluzionario in perfetto mood castrista, presto disincantato dall’amore “romantico” comunemente inteso, troppo simile a un contratto in cui c’è sempre chi paga il conto e chi poi deve qualcosa. Aspirante poeta, crede nella rivoluzione senza capire veramente cosa deve essere in termini intimi e individuali, perlomeno sino a quando non incappa in un brusco frontale con una sincera declinazione di libertà umana e politica.
Diego è un sognatore, ribelle, intollerante verso chi mercanteggia la bellezza e la libertà per cose che finiranno sotto terra insieme a noi. Fra citazioni di J. Donne, riferimenti a Oscar Wilde e a meravigliose pagine della letteratura cubana, con Maria Callas a guidare i suoi sospiri, lotta per affermare l’indispensabile indipendenza dell’arte rispetto alla propaganda ed è per questo guardato con sospetto e pregiudizio da tutti, meno che da una ex prostituta che dialoga con le sue statue di santi e madonne, fra un tentato suicidio e l’altro.
David, adescato davanti a una coppa di languido gelato gusto fragola e cioccolato (facile qui pensare chi sarà la fragola e chi il cioccolato nella storia, perlomeno dapprincipio), inizialmente cerca di studiarlo e di riferire ai suoi compagni quanto ritenuto rilevante in termini di “tradimento” verso la causa rivoluzionaria.
Non ci vorrà molto però per capire che in questa casa così bizzarra, di quest’uomo così diverso dal modello socialmente affermato, vive e palpita una vera rivoluzione, pettirosso sgualcito fra morbide vestaglie orientali e venerati tè indiani, spesso testimoni di tante battaglie .
Diego naturalmente è attratto dal giovane David, ma saprà essere giusto e generoso dinanzi alla sua acerba eterosessualità, prediligendo un ruolo di guida spirituale e, finalmente, autenticamente politica del giovane.
Attraverso l’esempio di una vita che fugge il compromesso, che cerca disperatamente di non sacrificare i sogni e le illusioni per il mero interesse, mostrerà al “joven rojo” la vera rivoluzione di un vero uomo. Che metta i tacchi a spillo o le scarpe da miniera, poco importa.
Entrambi i protagonisti hanno occhi meravigliosi di brace, come difficilmente capita di ammirare. Occhi che profumano di Cuba e nello stesso tempo di tutte le terre da lì così lontane, in tutti i sensi.
Sono belli, entrambi, e lo sono per chiunque li guardi, uomo o donna che sia.
Questa la magia del film e di chi lo ha diretto, mani sapienti che fanno venir voglia di toccare e annusare i corpi che assomigliano agli occhi, mai volgari, mai scontati, dritti al cuore.
Compresi quelli femminili, morbidi e densi di caffè, che ricompensano l’unico aspetto vagamente deludente del film, ovvero uno sguardo forse un po’ superficiale verso l’universo femminile, rappresentato nella pellicola da due figure piuttosto negative, seppure per versi opposti: la materialista e la disperata.
Ad ogni modo non è difficile interpretare questa scelta narrativa come una direzione dichiaratamente metaforica, ove le donne, in questa storia, rappresentino dei limiti spesso più socialmente accettabili di sogni e aspirazioni con le ali e senza solide tradizioni a sostenerli.
Poetica e gustosa la citazione al contrario, “Nessuno è perfetto”, come risposta di David dinanzi all’affettuosa affermazione di Diego rispetto alle sue magnifiche doti umane, peccato solo che non sia gay. (In “A qualcuno piace caldo” rispondeva così l’innamorato di Jack Lemmon, travestito da donna, mentre lui dichiarava, esasperato, di essere un uomo. Nobody’s perfect. Com’è vero. E com’è bello).
Sbaglierebbe chi dovesse raccontare questo film come un film sull’omosessualità.
Questo è un film sulla libertà e sulla capacità di mettersi in discussione, che le cose ci riguardino in prima persona o meno. Difendere i principi che riteniamo vadano difesi a volte conta di più del realizzare dei personali obiettivi, perché di ideali c’è bisogno, in ogni epoca, in ogni paese, in ogni cuore.
E, comunque la si pensi, amicizia, onestà e libertà sono valori condivisibili da chiunque, soprattutto in termini religiosi, di qualsiasi diritto sociale, personale o politico si stia parlando. Questo tanto a Cuba nel ’79 quanto a Roma nel 2014.
Diego, dopo aver raccontato commosso a David quanto faticoso sia portare avanti le proprie convinzioni in un contesto così ostile, senza cedere mai alle lusinghe di un percorso meno doloroso, a un certo punto chiede, gridando: “Chi è il vero rivoluzionario?”.
David non avrà dubbi. E, con un po’ di fortuna, nemmeno noi.
(Fresa y chocolate, Tomas Gutierrez Alea e Juan Carlos Tabio, 1993)