A proposito di Nabokov

Parlare di Lolita è sempre pericoloso, sotto tanti punti di vista: si rischia di dire le solite banalità, di incorrere nei tradizionali clichés, fino a trasformare un capolavoro in un ammasso di interpretazioni idiote. Proprio per questo motivo fu Nabokov stesso che si sentì quasi in dovere di fare chiarezza sulla sua opera, massacrando con amabile ironia tutti i suoi pseudo-carnefici.

Come postfazione all’edizione Adelphi di Lolita troviamo quella che si potrebbe semplificare come «spiegazione» del romanzo in questione, cioè A proposito di un libro chiamato Lolita.

Qui riscopriamo gli altri aspetti principali di Nabokov, trovando innanzitutto il critico letterario e l’esteta, fino all’uomo che ha vissuto a pieno l’avventura della lingua e delle lingue.

Nabokov smonta la macchina della banalità con un misto di ironia, umorismo, intelligenza e sottile sensibilità estetica. Prima di tutto disintegra la domanda che chiunque avrebbe voluto fargli, cioè quella sul suo «intento», spiegando che la storia di Lolita è la storia della sua liberazione dal libro stesso, che altrimenti lo avrebbe perseguitato a vita. Arriva anche a ricostruire la genesi del suo romanzo, dalla prima versione fino alla definitiva, totalmente modificata sia nei personaggi che nei luoghi e negli avvenimenti. Eppure anche questa non è una vera spiegazione, perché ha in sé i germi della filosofia estetica di Nabokov, che decostruisce anche il meccanismo della «realtà». La cultura americana, i luoghi e i comportamenti che Nabokov introduce nel suo racconto, non sono altro che un sostrato necessario per quello che produce la fantasia dell’autore, e la «realtà» è «una delle poche parole che non hanno alcun senso senza virgolette». In definitiva, la «realtà», quella degli Usa degli anni ’50 in questo caso, è il mondo dove abita la «volgarità filistea», un mezzo stimolante per una prospettiva narrativa. Ma non c’è nulla di antiamericano in tutto ciò, perché «Qualsiasi proletario di Chicago può essere borghese (nel senso flaubertiano) quanto un duca». Il riferimento a Flaubert non è casuale se si pensa non solo ai romanzi dall’autore francese, ma anche alle sue idee più recondite, come la sua vera concezione del realismo che viene fuori in una lettera a Mme Roger de Genettes del 1856: «Mi si crede innamorato della realtà, mentre la detesto. È infatti in odio al realismo che ho incominciato questo romanzo [L’educazione sentimentale]».

La biografia di Lolita è lunga e travagliata, dall’intenzione iniziale di pubblicare il romanzo sotto anonimato, fino ai rifiuti da parte delle case editrici, alle assurde proposte di modificarlo e alle mostruosità interpretative che l’hanno ricoperto. La questione morale sollevatasi attorno al libro, viene aspramente rigettata da Nabokov, che esprime al meglio il suo diniego con la lapidaria frase «Lolita non si porta dietro nessuna morale».

A questo punto troviamo quella che è una delle affermazioni più belle e significative di questa postfazione e del Nabokov critico letterario – che dovrebbe essere scoperto e studiato con più attenzione –, dove l’autore traccia con parole semplici quella che è la sua idea di letteratura, tanto semplice da risultare impossibile da comprendere per chi nella letteratura cerca altro da questo: «Per me un’opera di narrativa esiste solo se mi procura quella che chiamerò francamente voluttà estetica, cioè il senso di essere in contatto in qualche modo, in qualche luogo, con altri stati dell’essere dove l’arte (curiosità, tenerezza, bontà, estasi) è la norma. Non ce ne sono molti di libri così. Gli altri sono pattume d’attualità o ciò che alcuni chiamano Letteratura delle Idee».

Il meccanismo di Lolita è di certo complesso e questa complessità nasce, tra le tante altre cose, dal fatto che Nabokov, madrelingua russo, si sia trovato costretto a scrivere il suo capolavoro in inglese, dando vita a un mondo che doveva inevitabilmente risentire di questa scelta. L’autore si sbilancia fino a dire indirettamente che il suo romanzo è in qualche modo il resoconto della sua storia d’amore con la lingua inglese.

Ma dietro il complicato meccanismo di Lolita appare il risultato finale, ovvero il raggiungimento del sublime, il viaggio attraverso il quale le parole reimparate da Nabokov ci conducono a quella «voluttà estetica» che pochissimi libri riescono a darci.

 

 

06-11-2016 | 17:38