Quel ribelle di Jünger
Il filosofo tedesco Ernst Jünger è uno dei personaggi più paradigmatici del secolo scorso, in lui risiedono molte delle antinomie che hanno caratterizzato il 1900. La sua adesione al nazionalsocialismo – a Parigi diresse l’ufficio di censura della corrispondenza per le truppe nei territori occupati – fu tuttavia distaccata. Bollare superficialmente le sue opere come lo sproloquio di un “nazista” è un errore che mina la prospettiva. Inoltre l’avvicinamento finisce per elogiare inconsapevolmente una forma di regime demolita nel libro che andiamo a presentare.
“Trattato del Ribelle” – DerWaldgang – è un piccolo saggio che, scritto nel 1951, mantiene una straordinaria attualità. Il termine tedesco Waldgänger risale all’Alto Medioevo e letteralmente significa “chi passa al bosco, si ritrae nella foresta, si dà alla macchia”.
Il Ribelle di Jünger ha un motto: hic et nunc. La sua azione libera è decisa alla lotta, superando la sterile protesta rifiuta nichilismo e indifferenza. Contrapponendosi al fatalismo, le sue battaglie paiono spesso disperate ed il contesto d’isolamento lo relega in uno stato vicino all’annientamento. Il pensatore tedesco spiega però che “tra il grigio delle pecore stanno i lupi, coloro che non hanno dimenticato che cos’è la libertà”.
Due metafore – il bosco (sovratemporale) e la nave (temporale) – chiariscono il concetto. “Passare al bosco, superare il meridiano zero” è un penetrare alla radice dell’essere, chi riesce a farlo diviene un Ribelle. L’immagine nel bosco ricorre in svariate fiabe e tradizioni, qui indica “qualsiasi luogo dove il Ribelle possa praticare la resistenza”. Un territorio vergine e segreto, intimo ed inquietante nello stesso momento in cui sconfiggere per sempre la madre di tutte le paure: il terrore della morte. E dunque “la sovranità si riscontra nel singolo uomo che ha abiurato in sé la paura”.
L'angoscia, intesa come stato d’animo fondamentale dell’uomo, non è localizzata precisamente. La pervasività del sentimento porta Jünger a una singolare preveggenza quando scrive che “in tutti i luoghi della terra si vive nell’attesa di spaventose aggressioni: a cui si aggiunge, per molti, il timore della guerra civile”. Il passo sembra una fotografia degli attuali sconvolgimenti geopolitici, la grande paura – che affligge al quadrato proprio perché ci troviamo in un periodo di sbandierata libertà – introduce la metafora navale. Perfetta unione di progresso tecnico e panico è il Titanic: il suo affondare illustra una catastrofe che va a braccetto con l’automatismo ed il comfort. L’imbarcazione rappresenta anche lo Stato, il Leviatano, che con i suoi servizi apparentemente gratuiti costringe lentamente a liquidare la propria libertà. A tal proposito, per antitesi, si definisce ancora più esattamente il Ribelle spiegando che “l’inevitabile assedio dell’essere umano è pronto da tempo, e a disporlo sono teorie che tendono a una spiegazione logica e completa del mondo”.
Potenzialmente ogni uomo è esistenzialmente libero, dunque Ribelle, ma le variabili si esplicano nelle differenti misure in cui il singolo attiva la libertà.
E nei momenti più bui, “quando tutte le istituzioni divengono equivoche o addirittura sospette, e persino nelle chiese si sente pregare ad alta voce non per i perseguitati bensì per i persecutori, la responsabilità morale passa nelle mani del singolo, o meglio del singolo che ancora non si è piegato”.
Al termine dell’analisi si potrebbe incorrere in un errore di valutazione, confondendo la figura tratteggiata da Jünger con l’anarchico o il semplice criminale.
Si deve parlare di anarca, ovvero di colui che messo alle strette da un controllore troppo espansivo sceglie la libertà. Nel suo bosco, in solitudine, fa ciò che gli pare pur nascondendo esteriormente il suo volere. Una volta ritrovato il proprio nucleo inviolabile la resistenza è incessante, l’anarca combatte anche quando dorme e al contrario dell’anarchico dimostra consapevolezza a riguardo delle profonditàsacre.
L’abbandono delle vecchie ideologie e il claudicante incedere delle strutture religiose rafforza lo spauracchio della perdita costante di valori. L’abbandono docile al progresso tecnologico è inarrestabile e lo spirito di sacrificio incarnato dal Ribelle non pare trovare spazio. Il dibattito scatenatosi sugli assi sicurezza – privacy rappresenta l’ultima forma di un vecchio scontro tra Leviatano e individuo.
Ancora una volta “il vero problema è piuttosto che una grande maggioranza non vuole la libertà”. Attanagliata dalla paura preferisce demandare funzioni allo Stato in cambio di sicurezza.
A maggior ragione perché ci troviamo in un mondo privato di riferimenti e stracolmo di contraddizioni “la nuova libertàè quella antica, assoluta che riappare nella veste del tempo; farla trionfare sempre, eludendo le astuzie dello spirito del tempo: questo è il senso del mondo storico”.