Rapirò la luce al cielo
Guardare un lampione e pensare a Pier Paolo Pasolini, a quando segnò la differenza tra due parole: sviluppo e progresso. Il primo come orizzonte del tecnocrate, pragmatico ed economico, il secondo dell’idealista, quindi politico e sociale. Perché dove c’è troppa tecnica, si sa, rischia di esserci poco umanesimo. Questo pensiero dovrebbe nascere nella testa di chiunque che, passeggiando oggi per le vie del centro storico di Roma – ma anche di tante altre città italiane – si fermi un istante a osservare la luce dei lampioni: le calde, belle lampade gialle sostituite da orridi led bianchi e glaciali. Risultato? I suggestivi scorci di Roma, come degli altri centri storici, una volta avvolgenti come braccia millenarie – di una città in amore, avrebbe scritto qualcuno – stanno diventando dei luoghi sinistri, privi di bellezza, senza amore, appunto.
Una scelta, quella del cambio di lampade, che a Roma parte da lontano: decisa da Alemanno, avallata da Marino, ereditata dalla Raggi. Sembra siano quasi 200 mila le lampade che verranno sostituite con un appalto che ammonta a svariati milioni di euro. Motivo di questa scelta? I led fanno risparmiare. E allora ecco l’obiezione: se l’orizzonte del nostro agire fosse sempre e solo di carattere economico allora – perché no? – si potrebbero spegnere chiese, monumenti e ponti. Ma (giustamente) non lo si fa, perché la vita urbanizzata ha bisogno di cose così, che si chiamano decoro, bellezza e armonia. Parole tuttavia nemiche del tecnocrate, che probabilmente vede nella bellezza l’elemento destabilizzante dell’ordine sociale. Così come il risparmio a tutti i costi diventa il dogma piccolo-borghese-populista italiano, che poi altro non è che la letteratura dell’uomo disattento, quello che suo malgrado è cresciuto dentro aule di scuola illuminate al neon e non ha mai osato ribellarsi, neanche da grande: l’assuefazione al brutto, purtroppo, inizia presto. E comunque niente può giustificare quest’aspetto spettrale, nessun risparmio vale la lucentezza della vita, soprattutto perché esistono anche i led gialli, più caldi, simili alle vecchie lampade. Perché non mettere quelli e accontentare tutti?
Anche i poveri lampioni non sembrano più tali, privati dei vetri che non servono più, appaiono oggi come faretti del socialismo reale che fu. Fortunatamente, dopo alcune sollevazioni da parte dei cittadini più “illuminati”, la Soprintendenza di Roma è intervenuta e, per ora, sembra aver bloccato le sostituzioni. Ma dopo cosa accadrà? Se l’organo della seduzione è la parola, come direbbe Cyrano, lampada è opulenta come la sua forma, led respingente come il suo essere, ma confidare solo nel potere della semantica in Italia non porta mai a niente di buono.
I comitati contro le luci al led, nati spontaneamente – esiste ancora una vita in questo benedetto belpaese – hanno invitato Virginia Raggi a farsi una passeggiata serale per alcune vie del centro, per toccare con mano lo scempio in atto. La Raggi sembra persona sensibile, speriamo accetti. Perché la vorremmo vedere come una moderna Medea – ma solo per questo – che contro i suoi nemici non usò giri di parole: “Gli strapperò le torce dalle mani, e dal cielo la luce”. Virginia, ascolti Seneca, tolga i led da quelle mani stolte. E Roma tornerà in amore.