Saturno bussa alle porte del buio
Delle sentenze essoteriche riguardanti Saturno Buttò, eccellente pittore nato vicino a Venezia nel 1957, non desideriamo sapere alcunché, men che meno dell’incasellamento preventivo operato dai critici (“informati dai fatti”) a proposito della sua opera. C’è sempre d’impiccio una diatriba sterile riguardante la capziosa contrapposizione tra figurativismo “vecchio” e reame del concettuale (finto) nuovo, che da decenni alimenta diffidenze reciproche e malcelate ostilità, con gli astrattisti a fare da lattuga ammosciata nel panino imbottito, malcotto nel microonde dell’arte contemporanea. Basterebbe il nome – Saturno – per prendere sul serio l’occulta faccenda, deponendo ogni velleità razionalista una volta varcata la soglia del girone dai rossi anelli. Ancora prima dei comunisti, era infatti compito di Saturno mangiare i bambini. Cogliamo quindi spunto dalla recente mostra alla galleria d’arte Hippocratica di Pordenone – intitolata Rosso Saturno – per tessere giustificate lodi al tenebroso maestro, cercando al contempo di sfatare alcuni luoghi comuni, frequenti maldestri editti, dai quali per altro l’artista trae indubbio profitto. Forse ingenuamente, ci chiediamo: quale senso può avere oggi l’accusa di blasfemia in pittura? Quale inquisizione, se non quella laicista, potrebbe mai stigmatizzare con qualche ragione il lussurioso purgatorio imbastito da Buttò?
Siamo nell’androne barocco di Eyes wide shut (Stanley Kubrik, 1999) ed il colpevole corrisponde all’ingenuo, all’ignaro della parola d’ordine. La scena del film, epilogo di tutta una serie di precedenti perversioni, è assai prossima all’iconografia di Buttò, al quale toccherà solo il compito di dipingere le aureole sul capo degli immeritevoli più belli, degli adepti mascherati, beatificati da tanta palese corruzione. Egli infatti può essere considerato l’artista della sospensione del sacro e, si badi bene, non dell’abiura o del vilipendio. Si tratta di quella sensualità che, da sempre, la chiesa cattolica ha utilizzato per narrare della trascendenza di corpi martoriati, quelli dei martiri, sciolti in estasi tra voluttà e dolore. La pittura – soprattutto quella oscena - è un affare riguardante la luce, esattamente come la religione, sicché al di là di piercing, inchini pornografici e sadomasochismi vari, l’arte di Saturno Buttò si pone in evidente prostrazione davanti a qualcosa, forse proprio d’innanzi ad una clamorosa assenza; narrando attraverso l’utilizzo di depravazioni contemporanee la seduzione del sacrificio, l’artista nobilita la funzione dell’altare e ne sottolinea l’occultamento, l’obnubilazione.
A Cosa? A Chi, tale sacrificio, se non c’è pietra in grado di sorreggere una chiesa ai giorni nostri? Pare evidentemente un martirio gratuito, un deliquio malsano ed ospedaliero, dato che dalla controparte non emergono richieste, mozioni e nemmeno lusinghiere scomuniche. Ripensiamo per un attimo al ritratto di Cosimo il Vecchio de’ Medici di Pontormo, a L’allegoria del Trionfo di Venere del Bronzino, alla Madonna con Bambino e Santi del Parmigianino, alla Natura morta macabra di Jacopo Ligozzi, ad Ercole, Deianira e il centauro nesso di Bartolomeo Spranger, ma soprattutto a La morte di Cleopatra di Guido Cagnacci, in generale al manierismo del quale Saturno Buttò, aggiungendo oscenità da budoir neogotico, è degno erede; qui come allora manca infatti il sommo committente, il quale presumiamo si starà annoiando tra broccati ed ampolle, esiliato in una sacralità costretta in menopausa. Per questo l’arte tende a volteggiare in prossimità degli inferi: è tutta disillusione riguardo alla burocrazia, alla posticipazione della punizione a data da destinarsi, allo speculare prepensionamento del demonio, ormai inane dato che del maligno si è diffuso un comodo “fai da te”.
Resteremo perciò in trepidante attesa che Santa Romana Chiesa s’accorga per tempo del luciferino pittore veneto, magari anche solo per commissionargli qualche affresco da realizzare nelle iperbariche dimore di Cristo costruite negli ultimi decenni, erette simulando i freddi stilemi della Germania Est. Assenza di committenza – in Vaticano staranno soppesando Alberto Burri con quei cinquant’anni di ritardo – e nichilismo degli apologeti d’ogni bruttura, che alla Chiesa si pongono in singolar tenzone, sono noie che non giustificano la derubricazione degli atti saturnali in faccenda per soli feticisti.