The Shakespeare horror show
Tra gli autori teatrali che Carmelo Bene ha dis-messo in scena nel corso della sua carriera, quello con il quale si è confrontato di più è stato William Shakespeare. Fedele al suo ideale di un teatro assolutamente contrario ai concetti di messinscena e rappresentazione, Bene non si limitò a "riprodurre" in palcoscenico i testi del Bardo in maniera più o meno filologica, tanto più che era convinto che mettere in scena i classici non fosse né possibile né legittimo, e il perché lo spiegò lui stesso in un'intervista rilasciata nel 1977 a Elena De Angeli per la rivista Scena: «Shakespeare, Marlowe (che non a caso non viene mai rappresentato) erano grandissimi poeti, e rimangono in quanto tali i massimi esponenti della letteratura inglese. Ma mettere in scena oggi il loro teatro, comunque lo si 'rivisiti' o lo si 'riscriva', significa cadere nell'equivoco [...].
Il Sogno di una notte di mezza estate, lo stesso Romeo e Giulietta, sono stati teatro, e proprio per questo non lo sono più, non possono più esserlo. Io non metto in scena Shakespeare - l'ho detto tante volte - né una mia interpretazione o lettura di Shakespeare, ma un saggio critico su Shakespeare». Per mettere in scena questo suo saggio critico sul Bardo, Bene sottopose alcune opere di Shakespeare a un lavoro di rielaborazione e di vera e propria riscrittura talmente approfondito che queste opere, in seguito al "trattamento" operato da Bene, cessarono quasi di essere di Shakespeare per diventare opere di CB (e questo lo si può notare anche dai titoli degli spettacoli, come vedremo più avanti).
I drammi shakespeariani rivisitati da Bene sono cinque: Amleto, Romeo e Giulietta, Riccardo III, Otello e Macbeth. Quello che Bene ha rivisitato più volte è Amleto: tra il 1962 e il 1994 si contano sette edizioni teatrali "carmelobeniane" della storia del Principe di Danimarca, alle quali se ne aggiungono due televisive (la prima andata in onda nel 1978, la seconda nel 1990) nonché un film (Un Amleto di meno, del 1973) e una versione radiofonica trasmessa nel 1974. A partire dalla terza edizione teatrale - dal chilometrico titolo Basta, con un "Vi amo" mi ero quasi promesso. Amleto o le conseguenze della pietà filiale, andata in scena nel 1965 al Teatro Arlecchino di Roma - nelle versioni carmelobeniane del dramma teatrale più conosciuto al mondo fece la sua comparsa Jules Laforgue, scrittore francese nato nel 1860 e morto di tisi nel 1887, autore tra le altre cose del racconto Amleto o le conseguenze della pietà filiale, riscrittura della tragedia di Shakespeare nella quale il ruolo di Amleto è totalmente diverso dall'originale: se in Shakespeare il Principe di Danimarca è un figlio che vuole smascherare l'assassino di suo padre e vendicarne la morte, Laforgue ne fa un artista che è interessato alla vicenda dell'uccisione del padre solo nella misura in cui ne può fare materiale drammaturgico per scrivere un'opera teatrale, e che non vede l'ora di fuggire a Parigi insieme alla primattrice della compagnia di guitti venuti a Elsinore per recitare il dramma scritto da lui.
Dalla terza versione teatrale in poi, le opere di Laforgue (non solo il già citato racconto, ma anche diverse poesie) diventeranno fonti di ispirazione imprescindibili sulle quali Bene edificherà tutti i suoi Amleti: secondo Armando Petrini, autore del saggio Amleto da Shakespeare a Laforgue per Carmelo Bene (Edizioni ETS), la rilettura dell'Amleto fatta da Laforgue «intende parodizzare, attraverso Amleto, la figura dell’artista simbolista e decadente (l’”ultimo dei poeti”) e, per questa via, l’artista moderno tout court», e ciò conduce direttamente al tema principale degli Amleti di CB, il ruolo dell’artista nell’arte borghese: tramite i suoi Amleti Bene vuole dimostrare l’inadeguatezza della figura dell’artista, la sua impossibilità a essere autenticamente tale, e la sua errata convinzione di poter frequentare un’arte libera, visto che l'arte borghese è schiava del potere politico e prigioniera delle tradizioni culturali e letterarie.
Il 17 dicembre del 1976 il Teatro Metastasio di Prato ospitò il debutto di Romeo e Giulietta (storia di Shakespeare) secondo Carmelo Bene (nello stesso anno venne mandata in onda la versione radiofonica). Molti sono i motivi di interesse di questa rilettura della storia d'amore più famosa di tutti i tempi: gli attori, per la prima volta in uno spettacolo di Bene, recitano in playback, e da quel momento in poi il playback diventerà per Bene (sono parole sue) «l'espediente tecnologico-teologico del mio situare la voce al di là del soggetto»; il personaggio di Mercuzio (interpretato da Bene), che nell'originale shakespeariano muore nel terzo atto, nella riscrittura di Bene si sottrae alla morte e prolunga la sua agonia fino alla fine dello spettacolo, diventandone il personaggio-cardine («Il tutto, nel caso di Romeo e Giulietta, è gestito da Mercuzio. Lo spettacolo è la sua emorragia permanente, i flussi ostinati del suo moribondo non voler morire», affermò Bene); il lavoro di riscrittura "colpisce" anche gli altri personaggi del dramma: Paride è interpretato da un'attrice e la Balia da un attore, Giulietta è interpretata da una bambina di undici anni, Frate Lorenzo manifesta tendenze omosessuali; il testo originale del Bardo è "mescolato" a citazioni di altre sue opere (La dodicesima notte e i Sonetti) e a citazioni di opere di altri poeti (Arthur Rimbaud, Alfred Tennyson, Thomas Hood).
Nel 1977 è la volta di Riccardo III (da Shakespeare) secondo Carmelo Bene (debutto il 22 dicembre al Teatro Bonci di Cesena). Sia la versione teatrale sia quella televisiva, andata in onda nel 1981, sono caratterizzate da una scenografia lugubre e funerea (bare, teschi, ossa), nella quale Bene nei panni del protagonista agisce e interagisce con i personaggi femminili del dramma (gli altri personaggi maschili sono fisicamente assenti, le loro battute vengono recitate da Bene e dalle attrici). Nella versione di CB, le note deformità fisiche di Riccardo acquisiscono una funzione e un valore totalmente nuovi: quando si alza il sipario, il duca di Gloucester-Riccardo III è una persona normale, priva di handicap; le sue deformità "spuntano" fuori nel corso dello spettacolo sotto forma di vere e proprie protesi (un guanto che rappresenta una mano contorta e mostruosa, un gesso da applicare al braccio) che il duca-futuro re usa come armi di morbosa seduzione per fare sua Lady Anna (più lui si "addobba" da mostro, più Lady Anna diventa sensibile alle sue lusinghe). Lo spettacolo non è privo di momenti addirittura comici, come quando Bene non riesce a recitare l'arcinoto monologo («Ora l'inverno del nostro scontento» ecc.) perché viene continuamente zittito dalle protagoniste.
Dopo il duca di Gloucester, il Moro di Venezia. Otello (da Shakespeare) secondo Carmelo Bene debuttò il 18 gennaio 1979 al Teatro Quirino di Roma (una seconda edizione sarà allestita nel 1985), Carmelo Bene lo definì «il più lirico e bruciante dei miei spettacoli» e «degno dei più grandi racconti di Hawthorne e Edgar Poe»: in questo spettacolo l'azione scenica si concentra e si svolge sopra e intorno a un letto sfatto che domina la scena, con il famigerato fazzoletto che, sono sempre parole di Bene, «diventa vela, stendardo, alcova smisurata di lenzuola e vesti strappate. Non è più il banale strumento dell'ordito di Jago. Sottratto alla trama, appare ovunque».
Gli effetti della riscrittura operata da CB sono ben più che evidenti: la storia di Otello diventa - come sostiene Gianfranco Bartalotta, autore del libro Carmelo Bene e Shakespeare (Bulzoni Editore) - «un ripetitivo e snervante ricordo delle sue avventure», con Desdemona che alterna il ruolo "casto" di ascoltatrice dei racconti di Otello a quello "intimo" di moglie (e ogni volta che "assume" il ruolo di moglie si spoglia lascivamente); gli attori che interpretano Cassio, Brabanzio e Roderigo sono tutti doppiati dall'attore che interpreta Jago; molte battute risultano compresse o spostate e messe in bocca ad altri personaggi (Jago che si "impossessa" di battute di Roderigo, Bianca che fa sue battute di Montano ecc.); il personaggio di Otello nel corso dello spettacolo subisce un inesorabile processo di degradazione che lo porta ad abbassarsi al livello di meschinità di Jago, una degradazione non solo etica ma anche cromatica: più Otello si degrada, più si "sbianca", e contemporaneamente Jago si "annerisce" sempre di più; alla fine, Otello non uccide Desdemona, si limita a baciarla in fronte e a lasciarla addormentata sul letto, dopodiché si lascia cullare per un breve momento dai ricordi del suo passato, e poi si addormenta a sua volta. Una nota a parte merita la storia della versione televisiva: le riprese furono effettuate nel 1979, ma non furono montate e rimasero inedite per più di vent'anni. Nel 2001, non molto tempo prima di morire, Bene decise finalmente di montare il materiale girato, che fu mandato in onda per la prima volta il 18 marzo del 2002, due giorni dopo la sua morte.
Il 4 gennaio del 1983 il palcoscenico del Teatro Lirico di Milano ospitò il debutto di Macbeth, del quale sarà poi realizzata una seconda versione teatrale dal titolo Macbeth Horror Suite (1996), dalla quale sarà a sua volta tratta una versione televisiva trasmessa nel 1997. Nel Macbeth secondo CB un ruolo di fondamentale importanza viene svolto dalla strumentazione fonica: per Bartalotta in questo spettacolo «la voce in variazione continua [...], i rumori (peti, sospiri infoiati, rutti e pernacchie), le musiche (spezzate, distorte o esaltate), il sofisticato uso della strumentazione fonica smontano, più che in precedenza, i meccanismi teatrali tradizionali e il corpo dell'attore diviene una cassa di risonanza senza organi in cui tutto riecheggia per essere poi rigurgitato nella più ampia cavità del palcoscenico». Sul palco ci sono solo due personaggi fisici, Macbeth l'usurpatore e la sua sposa, tutti gli altri sono assenti in corpo ma presenti in voce: è la voce di Bene a dare loro la vita e la parola attraverso una serie di variazioni tonali, a ognuna delle quali corrisponde un personaggio diverso. Nella riscrittura carmelobeniana, il rapporto tra Macbeth e Lady Macbeth si tinge dei colori di una morbosa sessualità: nei momenti che precedono l'assassinio di re Duncan, i due si lasciano andare in contemporanea a un'attività masturbatoria "a distanza" (lei si masturba davanti a uno specchio, lui si chiude in un armadio) che culmina in un doppio orgasmo simultaneo che coincide con l'omicidio di Duncan.
Gli spettacoli nati dalla "collaborazione" tra il genio di Campi Salentina e il genio di Stratford-upon-Avon costituiscono dei mirabili esempi di come in campo teatrale sia possibile ottenere qualcosa di bello, interessante e finanche sublime rielaborando - e a volte stravolgendo - testi drammaturgici che agli occhi di molti possono sembrare sacri e inviolabili, ma che agli occhi di pochi possono invece apparire come degli spunti di partenza per creare mondi teatrali nuovi e altri.