Un gigante chiamato Bianciardi
La cultura italiana deve essere grata a Gian Paolo Serino per il saggio da lui curato Luciano Bianciardi – Il precario esistenziale (Edizioni Clichy). Un libro in cui troverete un Luciano Bianciardi come non lo avete mai letto. Il Luciano Bianciardi che sul finire degli anni Cinquanta, in pieno boom economico, anticipa gli Scritti Corsari di Pier Paolo Pasolini. Il Luciano Bianciardi che “ruba” - da un ignoto scrittore irlandese che ha tradotto - la trama del libro che gli diede il successo: La vita agra. Il Luciano Bianciardi che ha raccontato i primi segnali della tivù del dolore, che ha scoperto Enzo Jannacci e che ha intuito la vera “voce” mediatica di Adriano Celentano. Il Luciano Bianciardi che ci racconta come siamo oggi, con sessant’anni d’anticipo. Il Luciano Bianciardi che ha compreso come in un mondo in cui tutto progredisce, nessuno progredisce veramente. La scrittrice piacentina Chiara Ferrari ha detto de La vita agra, datato 1962: “Nel libro c'è tutta l'inumanità in cui è ridotta la folla delle metropoli, la nausea del traffico, il rifiuto del successo, l’ambiguo meccanismo della selezione, il rifiuto del consumismo, la satira del mondo editoriale. Insomma, l'Italia di oggi".
Nel ‘51 Luciano Bianciardi accetta a Grosseto l’incarico di direttore della Biblioteca Chelliana, recupera un vecchio furgone dal comune e inventa il “bibliobus” per fornire di libri le piccole biblioteche frazionali e di portare la cultura letteraria direttamente nelle fattorie, nei paesini e nei casolari più sperduti della Maremma. L’iniziativa ebbe un successo enorme e la Maremma, che tanti scrittori ha ispirato nel corso dei secoli, è stata allora come lo è oggi protagonista ed all’avanguardia nell’evoluzione del paesaggio culturale del nostro Paese. Un paese che, al di là delle luci al neon delle insegne pubblicitarie, che a Bianciardi ostruivano persino l’unica finestra del suo appartamento milanese, così da acuire l’effetto claustrofobico di una vita già pressurizzata, mostrava ai suoi occhi la disumanità alla quale oggi sembriamo esserci abituati. Scrive Serino nella prefazione “Aspetti diventati ormai evidenti, con la precarietà del lavoro. In particolare quello culturale” ed è evidente nel riadattamento del famoso romanzo, dal quale venne tratto anche un film, malinconico, bellissimo, da riscoprire, diretto da Carlo Lizzani e con protagonisti Ugo Tognazzi, Giovanna Ralli, Giampiero Albertini e l’esordio di Enzo Jannacci. “Il vero dramma di Luciano Bianciardi è di essere più commentato che letto. Ancora oggi molti conoscono La vita agra, ma ben pochi l’hanno letto davvero. Quanti sanno, anche tra lettori e critici letterari, che ad esempio Henry Miller è uno dei personaggi del romanzo? Quanti sanno che il “Torracchione” - che nel romanzo il protagonista vuole abbattere a colpi di dinamite - non è, come quasi tutto sostengono, il Pirellone di Milano, ma la Torre Galfa, sede della Montedison? E quanti sanno perché Luciano Bianciardi vedeva proprio nella Montedison il simbolo di un “boom economico” fasullo e del tutto effimero? Questo non vuole essere un saggio critico su Luciano Bianciardi. E non vuole nemmeno essere un panegirico sullo scrittore che, per primo in Italia, ha compreso, sin dal finire degli anni ’50, che il consumismo di massa era soltanto una chimera…”.
Luciano Bianciardi anticipa l’ importanza della musica "a 33 giri", scopre Jannacci e Celentano. Enzo Jannacci fa il suo esordio col suo primo album in studio: La Milano, nel 1964. Dodici tracce, per lo più in milanese, tra cui la ballata El portava i scarp del tennis, due brani con testo di Dario Fo e una reinterpretazione di Mami, l’unica canzone mai scritta da Giorgio Strehler. Sul retro della copertina, una nota di Bianciardi, che aveva avuto modo di apprezzare il cantante in una sua esibizione al Teatro Gerolamo. Riguardo al loro rapporto Jannacci raccontava che, nonostante fosse poco più che un ragazzino, Bianciardi lo interpellava spesso per conoscere le sue opinioni sui cosiddetti massimi sistemi: “Mi chiedeva: Jannaccione, cosa ne pensi del mondo? E io rispondevo che ne pensavo malissimo. Fingono tutti, abbiamo perso la guerra, siamo poveri e nessuno lo dice. Tutta la mia produzione pseudopoetica parla di un Paese che fa finta di essere ricco e colto ma non pensa, non legge, non capisce”. Già nel ’64 però Jannacci aveva prestato volto e voce per la trasposizione cinematografica de La vita agra, interpretando L’ombrello di suo fratello dentro il bar Jamaica, nella Brera degli artisti e dei cospiratori.
Dopo la vittoria di Celentano al Cantagiro del 1962, Bianciardi intuisce la valenza ideologica del “sorriso celentanoide, espressione emblematica del neoqualunquismo neocapitalista”. Per Bianciardi il giovane Celentano era “saldo e avveduto” e avrebbe un giorno lanciato “una filosofia totale intervenendo nei dibattiti come un intellettuale accreditato”. Adriano Celentano oggi scrive lettere a quotidiani. Interventi che diventano editoriali, ripresi anche dalla televisione e da internet. Considerato a tutti gli effetti un opinion leader dalla “filosofia totale”.
A Milano Bianciardi incontra solo ragionieri e “segretariette”: gli operai sono a Sesto San Giovanni, nelle periferie. Del capoluogo lombardo non gli piace niente, come spiega in alcune interviste dell'epoca , e l'improvvisa popolarità paradossalmente lo getta ancora più nella depressione: “Ormai mi chiamano ovunque, posso sparare qualsiasi cavolata”. Rifiuta una collaborazione offertagli da Indro Montanelli con il Corriere della Sera, in qualità di articolista di spalla, preferendo rubriche su giornali molto popolari quali ABC, Il Guerin Sportivo, L'Automobile o riviste prettamente maschili come Le Ore e Playmen, dove si sente molto più libero.
Cercò di lasciare Milano, trasferendosi con la sua compagna a Sant'Anna di Rapallo; il professor Nuccio Lodato, suo amico di quel periodo, ci ha raccontato che la domenica Bianciardi chiamava a raccolta un buon numero di persone a casa sua per vedere in compagnia “Quelli della domenica”. Andava pazzo per Paolo Villaggio nei panni del professor Kranz e del ragionier Fracchia, l'antesignano di Fantozzi, forse perché vedeva, in quel piccolo borghese vittima del consumismo, la rappresentazione in chiave comica del miracolo economico dal quale lui aveva tentato di fuggire, e che lo aveva portato all'alcolismo. Dopo la rottura con Maria Jatosti, la sua compagna (legame fuori dal matrimonio, da cui nacque il figlio Marcello), e un maldestro tentativo di riallacciare i rapporti con la famiglia e i figli, Bianciardi tornò a Milano, l'unico posto dove poteva bere senza essere controllato. E dove morì poco dopo, nel 1971, consumato dall'alcol.