Il club dei mangiatori di hascisc
Tra testimonial più o meno istrionici e dibattiti tra lo scientifico e il mistico in questa calda estate è arrivata una proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis. 218 parlamentari di partiti trasversali e antagonisti hanno firmato il testo portando all'attenzione dell'opinione pubblica un tema che altrove è stato già sviscerato da tempo.
Hashish e marijuana liberi? Addio al proibizionismo e al codazzo economico-illegale che gira attorno al mercato di tali sostanze? In un Paese come il nostro dove lo spirito libertario è pari a zero, e dove il totalitarismo statale ha mille tentacoli per instradare il libero arbitrio nascondendosi dietro le "azioni individualmente virtuose", ci si può affidare alla letteratura per svicolare da tabelle statistiche e proprietà additive.
“Questo vi sarà detratto dalla vostra porzione di paradiso, mi disse tendendomi la dose che mi spettava”. Nelle prime pagine di Il Club dei mangiatori di hascisc Théophile Gautier inizia così ad incidere, incastonare e cesellare la propria misteriosa esperienza in un vecchio edificio parigino sull’isola di Saint Louis: l’hotel Pidoman. Gautier, importante esponente culturale del mondo artistico francese dell’Ottocento, al quale Charles Baudelaire ha dedicato Les Fleurs du mal, rimane personaggio difficilmente classificabile. Lo scrittore, poeta, critico letterario e giornalista qui è abilissimo ad unire allucinazione ed immaginazione confondendo il lettore in un susseguirsi impazzito di deliziose armonie pronte a tramutarsi in grottesche figure.
Tutta ruota attorno ad "un pezzetto di pasta o confettura verdastra", l'estratto del fiore della canapa fatto cuocere con burro, pistacchi, mandorle e miele. Una stramba marmellata da gustare abbinata a qualche tazzina di caffè; il tutto servito tra calici di Venezia, coppe istoriate, porcellane di Louis Leboeuf e maioliche in un luogo dove nessun piatto è uguale all'altro.
In un club del genere si univano Alexandre Dumas, Gérard de Nerval, Victor Hugo, Honoré de Balzac, Charles Baudelaire, Eugène Delacroix e molti altri.
La sostanza era un tempo utilizzata in Oriente dagli Assassini, Ismailiti al soldo del grande Vecchio della Montagna. Questa setta dedita all'omicidio politico formava un enclave di Hasciscin - mangiatori di hascisc - che eseguivano gli ordini dello sceicco sotto gli effetti del misterioso preparato; gli assassini inebriati avrebbero fatto di tutto per distruggere il nemico e tornare ad immergersi nel paradiso di sogni.
Tornando a Gautier nel suo resoconto "la realtà non serviva che da punto di partenza alle magnificenze dell’allucinazione”, il salone dell'hotel si riempiva di personaggi improbabili dal naso ricurvo, con cravatta bianca e abito nero e al posto delle gambe una gigantesca radice di mandragola nera, sporcata dalla terra attaccata ai filamenti.
Scosso da un ridere frenetico il gruppo prendeva le forme di un quadro di Callot o Goya.
“Era una strana ressa: il pulcinella napoletano picchiava familiarmente sulla gobba del punch inglese; l’arlecchino di Bergamo sfregava il suo muso nero sulla maschera infarinata del pagliaccio di Francia, che emetteva delle urla terribili, il dottor bolognese gettava del tabacco negli occhi del padre Cassandro; Tartaglia galoppava a cavallo di un clown, e Gilles prendeva a calci nel didietro don Spavento; Karagheuz, armato del suo osceno bastone, si batteva in duello con un buffone Osco”.
Successivamente, alla stregua di un moderno membro della compagnia che non beve e guida la macchina, un personaggio non intossicato cambiava direzione sensoriale nelle menti dei presenti al Pidoman grazie al pianoforte.
Se è vero che “l’involucro umano, che ha così poca forza per il piacere e ne ha tanta per il dolore, non avrebbe potuto sopportare una più alta pressione di felicità”, il Kief giunge a beare gli hasciscin liberando tutti dai vincoli della materia e dello spirito. Una calma senza limiti che dura giusto il tempo di far piombare il racconto in un vero e proprio incubo; il ritorno del mostro dalle gambe di mandragola e un tentativo di fuga impossibile in una corsa che sembrava durare mille anni e portava dritto alla rottura dell'incantesimo.
Gli hasciscin tornavano a casa con sangue freddo e nessun mal di testa, ma come dice Gautier “basta adesso con le follie. Per raccontare tutta intera l’allucinazione dell’hascisc, ci vorrebbe un intero volume, e un semplice cronista non può permettersi di riprendere daccapo l’Apocalisse!”.
Il quadro raccontato dal francese, pur rappresentando un caso limite, si discosta parecchio dall'attualità dove il consumo di sostanze stupefacenti è spesso legato alla noia. La ricerca di una via anticonformista non è più centrale, ma come sempre - al netto del talento letterario di Gautier - gli effetti di un'azione, in questo caso l'assunzione di hashish, sono legati alla consapevolezza ed al grado di conoscenza dell'individuo.
Una legislazione in tal senso può migliorare la situazione solo se tiene conto di ciò, inutile dire che non basta assumere la magica pasta verde per divenire narratori dell'assurdo.