La dolce epopea di Arbasino
Negli ultimi anni Adelphi ha riproposto molti libri di Alberto Arbasino. Sono usciti due Meridiani dedicati alla sua narrativa, con un eccellente saggio introduttivi di Raffaele Manica. Arbasino dà tutto subito, non dilaziona, non rimanda, non vuole perdere il contatto con chi legge, vuole dargli al più presto piena soddisfazione. Ci riesce? Nessuno può rispondere a questa domanda.
Ogni lettura è un atto dall’esito imprevedibile. Si tratta di vedere che cosa si cerca e come lo si cerca. Arbasino, che cominciò con Le piccole vacanze nel 1957, fu subito un narratore che si guardava narrare. Che genere di romanzo sia Fratelli d’Italia non è facile a dirsi, non sopporta alcuna definizione e si presenta come un testo dove ogni cosa si racconta da sé - ma dove esiste un “io narrante” che non parla di sé - ma svia il discorso con calcolata casualità sul vero personaggio chiave. Personaggio del quale, d’altra parte, dà solo notizie indirette, e apparentemente superficiali, per lasciare lo spazio, a lui come agli altri personaggi, di raccontarsi da solo.
Il nucleo principale della folla che popola il romanzo è costituito da cinque personaggi: un universitario svizzero a cui è affidato il compito della narrazione e del quale, non a caso, si conosce solo il soprannome: l’Elefante; un italiano, intellettuale coltissimo (e un po’ snob), Antonio; un musicista tedesco, Klaus; Jean-Claude, un francese irresistibilmente attratto dalla mondanità; Desideria, una principessina nevrotica e adorata; e infine Raimondo, altro intellettuale, ricchissimo, malato di cancro, portatore per tutto il romanzo di un incombente senso di morte. Lo scrittore parla sempre in termini piuttosto negativi della società borghese, torpida e interessata, tesa ai propri guadagni minuti senza coscienza e consapevolezza del presente e della necessità del bene comune, pettegola e incapace di salti di qualità culturali.
Citazioni dotte, preziosi aforismi, satira sono gli ingredienti fondamentali di una ricetta stilistica e propositiva sempre riformulata nell’opera arbasiniana. Arbasino è sempre stato soprattutto un grande maestro nella ri-scrittura accurata, minuziosa, quasi maniacale, delle proprie opere. Riscrivere per lui significa rendere più adeguato il momento storico in cui scrive. Fratelli d’Italia ha ben quattro edizioni: 1963, 1967, 1975 e 1993.
È un viaggio infinito. Ecco in Fratelli d’Italia sembra di essere tra i Vitelloni di Federico Fellini: arrivano oltre la trentina vantando e ripetendo le loro imprese di monellacci. Brillano durante la stagione balneare, la cui attesa li occupa per tutto il resto dell’anno. Sono i disoccupati della borghesia, i cocchi di mamma. Ma sono anche amici ai quali non si può non voler bene. Arbasino porta a Roma la vita di provincia, monotona, un po’ sonnolenta, basata sulle piccole abitudini quotidiane, con i personaggi fortemente rappresentativi di una certa fascia giovanile italiana del passato, ma anche attuale. E poi l’importanza della famiglia nella società italiana, il suo ruolo, nello stesso tempo protettivo e limitativo sui giovani. La goliardia è vista come patrimonio vitale. Forse non meno necessario di una lenta, consapevole maturazione.