L'infanzia dell'arte
Il primo gesto, l’impronta di una mano, l’infanzia di un’arte. L’ultimo, estremo, l’impronta di una mano. Tra questi due gesti tutta l’avventura di un’arte che è stata. Che è stata, perché non so che cosa ancora possa significare la parola scultura, perché ancora sottolineare un genere. Gli artisti di oggi scolpiscono un’immateriale sostanza. Tuttavia mi si chiede della scultura, del presunto malessere di un linguaggio, e se non sia “il diffuso orientarsi delle nuove tecnologie” la ragione di una ipotetica crisi di questa arte. L’arte non è mai stata messa in crisi dall’avvento di nessuna tecnologia. Prima la pietra, poi il fuoco, il ferro, il bronzo, la ruota dei Sumeri. Ogni nuova tecnologia accompagna, è un orientamento, ma non c’entra. Serve, ma serve ad altro ed è in funzione di altro; l’arte non c’entra. Visione non significa televisione.
Cèzanne, Malevich, Duchamp, de Chirico, hanno dato inizio ad un nuovo modo di pensare l’arte, come Masaccio, ancora con una piccola mano. L’arte è un fare legato al sangue e la sola tecnologia della quale si è sempre servita è la spiritualità che è dentro la mano, l’occhio e l’anima. Un fare immutabile fino a quando a pensarla è stato un uomo rivolto con sentimento tragico e con fede alla natura. A soffrire di una crisi non è un linguaggio, non è solo la letteratura o la scultura, ma la cultura; è tutta l’arte a perdere la sua centralità, il suo primato. C’è qualcosa di più del disagio di un pensiero o di un’arte di fronte a un cosiddetto mondo tecnologico. C’è che ad un uomo paleocristiano, antico, magico, con la prua e l’occhio ancora rivolti verso una stella nella notte, succedere ora un altro tipo, senza un passaggio o un tramando come è sempre stato. Un individuo diverso, che ignora il dubbio, che parla un altro alfabeto. Un individuo e una società che non si riconoscono più nella cultura o nell’arte, non più necessarie e delle quali non sanno cosa farsene.
C’è come un trauma, una colonna ancestrale improvvisamente incrinata. Una visione, un uomo, un’arte che vengono dalle caverne di Altamira, dove un giorno una mano senza nome tracciò la curva di un dorso di bisonte, e che attraverso Giotto, Bellini, Mantegna, Leonardo, Caravaggio, Goya, Van Gogh, Brancusi, arrivano fino a noi e con noi finiscono. Una visione e un uomo che se ne vanno come una specie che si estingue.