Picasso raccontato da Gertrude Stein
Gertrude Stein ci parla di Picasso poco più di trent’anni dopo che il pittore spagnolo le ha dipinto il suo famoso ritratto. È corretto dire “ci parla” perché la scrittura di Gertrude Stein è un continuo, vitale e forse martellante tentativo di riportare la lingua parlata nello scritto, di rendere con uno stile paratattico la vitalità, la bellezza e i difetti del parlato americano. Era stata proprio lei a indirizzare Hemingway verso questo tipo di scrittura, e del resto quelli erano gli anni in cui si era già sperimentato abbastanza e si continuava a portare avanti le avanguardie che avevano scompaginato totalmente la concezione dell’arte e l’arte stessa. Siamo alla fine degli anni trenta e Gertrude Stein, dopo una decennale amicizia con Pablo Picasso, decide di scrivere questo piccolo libro che descrive con attenzione e lucidità il genio e i diversi periodi del pittore.
La Stein ci parla con estrema certezza, stigmatizzando ogni suo pensiero senza lasciare spazio al minimo dubbio. Conosce benissimo Picasso e gli ha dato un grande aiuto in passato in qualità di mecenate, amica ed estimatrice. Il limite della sua argomentazione, che però da un altro punto di vista è pure il punto forte ed originale, è l’inquadratura di Picasso entro il suo essere spagnolo, come se la provenienza dell’artista e i luoghi in cui è vissuto siano state le sole influenze che hanno formato il suo genio; la Stein si focalizza poco sull’autenticità di Picasso, sulla sua profondità che prescinde dai luoghi vissuti e dalla sua Spagna. Ma ciò è comprensibile se visto nella filosofia “steiniana” per la quale l’arte di un creatore viene influenzata “dal modo in cui la gente si sposta da un posto all’altro”, “dal modo in cui le strade sono frequentate”. Dunque attraversa i vari periodi e le pause della pittura e della vita di Picasso collegandoli con i suoi spostamenti, col suo rapporto con la Spagna e il suo essere spagnolo. Anche l’invenzione del cubismo viene collegata ai paesaggi percorsi dal pittore, ma purealla sua innovazione, che per la scrittrice è quella di dipingere la realtàcosì come la si è vista. Per lei tutti gli altri pittori vedevano la realtà allo stesso modo, ma la dipingevano diversamente, mentre Picasso dipinge tutto esattamente come lo vede.
Forse lo stile paratattico e ripetitivo della scrittrice americana sarebbe più adeguato alla narrazione che a un saggio, ma lei evidentemente non vuole tradire il suo punto di vista, il quale rientra in una vasta filosofia, profonda ma non priva di eccessive certezze. Hemingway nel suo capolavoro autobiografico Festa mobile dipinge il suo personale ritratto della sua amica, rendendole il merito di figura centrale nell’avanguardia del Novecento, ma sottolineando anche i difetti di quel grosso Ego contro il quale lui stesso si è scontrato, ponendo fine a una grande e prolifica amicizia. Ma è naturale che in quegli anni, con quelle forti idee e quelle decise posizioni ideologiche, filosofiche ed estetiche, anche i rapporti tra gli artisti fossero molto tormentati.
Invece l’amicizia che lega Gertrude Stein a Pablo Picasso sarà ben salda, avendo le sue basi nell’interesse “letterario” di Picasso nei confronti degli artisti, ma anche in un sostegno reciproco e nel quadro che viene considerato da molti il precursore del cubismo, che è appunto il Ritratto di Gertrude Stein, del 1905. È un dono di Picasso alla sua amica, e questa cosa stupirà in seguito tutti coloro che dovranno sborsare grosse cifre per avere un quadro dell’inventore del cubismo.
Nell’epilogo a questo suo scritto Gertrude Stein espone altre idee originali sull’arte del Novecento, da un punto di vista sempre stato all’avanguardia. Questa sua riflessione finale nasce dal fatto che le hanno appena riportato a casa dei quadri di Picasso che ha prestato per un’esposizione. È il 1937 e il suo libro verrà pubblicato l’anno seguente: siamo prima della seconda guerra mondiale e questa scrittrice americana, che vive decenni avanti rispetto alla maggior parte dei suoi contemporanei, ha già capito quale sia lo spirito di splendore e distruzione che anima il suo secolo. E non ha dubbi.
“Nel Novecento tutto si distrugge e niente continua, il Novecento quindi ha uno splendore tutto suo. Picasso è di questo secolo. Ha la singolare qualità di una terra che nessuno ha mai veduto, di cose distrutte come mai sono state distrutte. Picasso, dunque, ha il suo splendore. È così. Grazie.”