Vecchioni, la Sicilia e l'amore

Che poi, lo sanno tutti, l’insulto alla Sicilia – "sei un’isola di merda", citando Vecchioni, mica un leghista – non sarebbe nemmeno così assurdo, se non fosse, come ebbe a dire Sgalambro, che chi ne parla male, lo fa perché non corrisposto e tutto agitato dal risentimento.

La Sicilia, del resto, è così bella che non ama completamente se stessa. Ogni narrazione è carica di questo romanticismo. Romantici in Sicilia si nasce e si ritorna, come racconta nel libro del 1945, bellissimo, Voyageurs en Sicile au temps du Romantisme Helene Tuzet, forse ispirata nella ricerca dalla celebre frase di Goethe sull’isola “chiave di ogni cosa”.

Proprio Goethe, a fine Settecento, pur trovando bellissima Palermo, è sconvolto dal fetore della spazzatura lungo le strade e ne chiede conto a un mercante, il quale pare rispose sorridendo e indicando alcune splendide carrozze: “Le vedete? scivolano sulla strada, sembrano velluto, le ruote non stridono ....non fanno rumore…Sono carrozze dei signori che non i nostri soldi devono garantire la pulizia della città…ma corre voce che hanno paura a far pulire le strade, altrimenti si vedrebbe che sono tutte rotte, e le loro passeggiate sarebbero un incubo.”

Contrasti, tragedie della leggerezza. L’architetto Houel, prima di dipingere la Bastiglia in fiamme da cui nasce l’Europa moderna, raffigura il suo Voyage da Messina a Palermo, da Agrigento a Catania, fra arcaico e pittoresco. Le centinaia di illustrazioni salvate dall’oblio da Caterina II, sono all’Hermitage di San Pietroburgo, la più italiana delle città russe.

Libera dall’inquisizione, annota Houel, Palermo sarà la città più bella al mondo, e l’isola il soggiorno più delizioso della terra. Pare, però, che molti viaggiatori fossero schifati dalle donne che si spidocchiavano per strada e  dai contadini che dormivano per terra, fra i canneti, come bestie.

Dumas padre, leggi Alexandre, descrive la Sicilia in lungo e in largo: feste religiose, funerali di bambini, pescatori, catacombe, tonnare, natura, monumenti. Reportage che vendono bene in Francia e ispirano molti turisti, nobili o borghesi, all'avventura di viaggio.

Il Tour siciliano è carico di imprevisti, e non c'è viandante che non caschi per un colpo di sole o un collasso, fra cadute dal cavallo o – per i low cost – dal somarello. Samuel Coleridge, malaticcio di suo, per non sbagliare si chiude in un convento alle pendici dell'Etna. 

Il migliore però resta Stendhal, che essendo un genio, può permettersi di raccontare la Sicilia, senza mai averla vista. Guy de Maupassant, riprende coraggio, e in Sicilia viene davvero, a fine Ottocento, in estasi per gli incanti intinti di uno stile che non è arabo, né gotico, né bizantino, ma siciliano. In apertura del suo resoconto, esorterà i francesi a visitare la terra degli aranci, senza paura di briganti e assassini.

Più freddamente, Tocqueville, osserva la disastrosa la situazione economica, le campagne abbandonate, la nobiltà crudele e parassitaria, le comunità che vino di rendita. Non v'è nulla di romantico nel Tocqueville, però alla vista dell' Etna, sembra che nella razionalità dell'illuminista ritorni il demone del sentimento, e la solitudine umana, così insensata di fronte la natura gigantesca, gli appaia insopportabile.

Nessuno dei viaggiatori, forse, potrà mai centrare una definizione della bellezza più perfetta per la Sicilia di quella teorizzata da Baudelaire, che non lasciò mai Parigi, nei suoi Diari intimi, dove sta scritto: “Ho trovato la definizione del Bello, del mio Bello. È qualcosa d’ardente e triste, qualcosa un po’ vago, lasciante spazio alla congettura...una testa di donna che fa sognare, ma allo stesso tempo, ispira voluttà e tristezza;  che comporta un’idea di malinconia, di spossatezza, persino di sazietà, — sia un’idea contraria, cioè un ardore, un desiderio di vivere, associati con un’asprezza/amarezza che rifluisce, come se venisse da privazione o da disperazione. Il mistero, il rimpianto, sono anch’essi caratteri del Bello”. 

Ed è la metafora del mondo, ancora oggi, che si compie, purché non si pretenda Gioia. Giacché non c'è Gioia che possa associarsi alla Bellezza, mentre la Malinconia, per così dire, ne è l'illustre compagna.

 

 

09-12-2015 | 21:53