Il gioiello nelle mani dell'Isis
È notizia di questi giorni la caduta di Palmira tra le mani dello Stato islamico. Ma cosa succede esattamente quando un luogo viene conquistato dai combattenti di Abu Bakr al Baghdadi? Issare il vessillo nero con la shahada – la testimonianza tramite cui il fedele musulmano dichiara di credere in un Dio Uno e Unico e nella missione del Profeta – è solo un primo passo.
Il caso emblematico di Tikrit è l’ultimo esempio per meglio comprendere il modus operandi jihadista. Uno stile di vita che non nasce dal nulla ma ha radici nel primo Islam, l’età dell’oro dei quattro “Califfi ben guidati”.
Tikrit, riconquistata a fatica dall’esercito iracheno con l’aiuto fondamentale di Iran e Stati Uniti, ha una lunga storia. A 160 chilometri da Baghdad sul fiume Tigri nasceva questo importante centro di studi per la cristianità assira, una comunità che nei secoli ha resistito alle misure restrittive adottate da alcuni governatori musulmani.
Nella zona fiorirono i commerci ed i centri culturali fino al saccheggio perpetrato dai Mongoli che diedero il colpo di grazia al Califfato abbaside. Il cosmopolitismo del passato fu distrutto così come i canali di irrigazione e vaste zone della città. I mongoli sono stati però superati dallo Stato Islamico per quanto riguarda la “Chiesa Verde”, abbattuta per la prima volta nella storia dopo tanti tentativi falliti di raderla al suolo tra il 1089 e il 1112. Pur non essendo più attiva costituiva una reliquia fondamentale per la Chiesa siro-ortodossa e l’opinione pubblica si è concentrata sulle immagini di distruzione. L’emotività prende sempre il sopravvento e si finisce con il dipingere gli uomini in nero come dei semplici fanatici. Il significato di tali atti è però più profondo: ci troviamo di fronte ad un classico ritorno al passato, quando i Compagni del profeta distruggevano statue ed idoli durante la prima rapidissima diffusione dell’Islam.
La storia recente di Tikrit fornisce poi un ulteriore livello di senso ed inquadra alla perfezione i motivi che stanno portando all’evoluzione dello Stato islamico. L’ex roccaforte baathista –Tikrit ha dato i natali a Saddam Hussein, oltre che a Saladino – con una forte presenza militare ha sempre vissuto relativamente tranquilla durante l’ultimo decennio. Tuttavia dal 2011 alcuni gruppi islamisti impegnati nel conflitto siriano arrivarono nella città alla ricerca di fondi per attentati nei territori di Assad. Con la caduta di Mosul gli altri – i capi dell’amministrazione civile, la polizia irachena e l’enorme apparato della sicurezza locale – sono fuggiti nel timore di un attacco che poi si è effettivamente materializzato.
Cosa ha fatto dunque lo Stato islamico in città? Oltre alle devastazioni ed alle esecuzioni di massa c’è dell’altro. I massacri di soldati e di tribù nemiche sono solo alcune delle azioni messe in atto per islamizzare la zona. Annullare la vecchia amministrazione comunale è il punto di partenza di una differenziazione che è anche fisica e basata sull’aspetto esteriore. Ai controllori in occhiali da sole, baffi ben curati e anelli d’oro – il baathista tipo lo si nota subito – sono subentrati militanti in barba lunga, abbigliati con modestia senza inutili orpelli. Una certa volontà nell’imitare accenti locali si accompagna alle preghiere ed al costante riferimento a Dio in ogni frase. Piccoli comitati devono giudicare i segnali di ravvedimento richiesti ai vecchi funzionari dello Stato iracheno e i vari dazi vengono formalizzati secondo quanto riferito dalle scritture sacre. La chiusura dei tribunali locali è naturalmente legata alla presenza di giudici islamici con il compito di ricreare dipartimenti di legge ad hoc nelle università. Un altro provvedimento che colpisce particolarmente la nostra sensibilità, anche se cerchiamo di rimuoverlo non mandando in onda i video, è la giustizia fatte nelle strade dove i traditori vengono uccisi, anche crocifissi, davanti a tutti. Creare un timore diffuso a lungo andare è controproducente e l’esodo da Tikrit lo dimostra: nel giro di pochi mesi tra la difficoltà a governare e i bombardamenti iracheni per riprendere il controllo tutti i principali servizi hanno cessato la loro attività. Dire quante persone sono fuggite è impossibile anche se le circa 200 mila registrate dai media internazionali sono una cifra vicina al vero.
Tikrit si è trasformata in un enorme fantasma pieno di polvere, una serie di vie lacerate dai saccheggi e dalle violenze.
Anche se lo Stato islamico non comanda più la città le circostanze che hanno portato al suo interregno rimangono vive. Un irrisolto problema di animosità settarie è presente ed un ripopolamento reale non c’è ancora stato. Un clima spettrale regna sovrano e tra le vetrine bruciate i civili faticano a riconoscere la vecchia Tikrit.
Ristabilire un regno islamico dalle coste libiche alla Siria è un progetto forte che resiste da un millennio, nascondere la testa sotto la sabbia ignorando la storia dell’Islam ci rende ciechi. Gli jihadisti stanno sperimentano antiche forme di governo, riproponendo norme scolpite nella consuetudine islamista e distruggendo luoghi di cultura dove la civiltà è nata. Siamo inermi proprio perché non vogliamo conoscere, o peggio fingiamo di non sapere chi abbiamo di fronte. L’opinione pubblica si è assuefatta esclusivamente all’iconografia violenta del Califfato, un fanatismo cupo che distrugge luoghi di inarrivabile bellezza e ci dimostra quanto possa essere forte un’utopia.