La violenza e il sacro
Natura, cultura, religione e scienza sono termini dai quali si possono sviluppare un gran numero di tematiche. La maggioranza delle discussioni sociologiche e antropologiche partono dai concetti sopracitati o da parole ad essi legati; pescare nel mare magnum indistinto delle opinioni non è mai stato così difficile.
Nell’ultimo periodo storico la contrapposizione tra scienza e religione, secolarizzazione e fede si è acuita e la vittoria del razionale pare essere ormai un dato di fatto almeno nel mondo occidentale.
Eppure il religioso è senza alcun dubbio alla radice della società umana, seppur ora percepito come ostacolo dalla scienza che non è ancora riuscita ad assegnare un oggetto reale a tale istituzione sociale.
Nel 1972 “La violenza e il sacro”, testo del filosofo e antropologo francese René Girard, cerca di andare oltre ad un’antropologia post moderna che nega un qualsiasi accesso alla verità. Facendolo ha proposto una teoria del religioso, e dunque della cultura, alternativa.
Il sacro non viene rappresentato né come ricerca di senso attorno ai misteri naturali dell’universo, né come inutile superstizione dei primitivi.
Per il francese la violenza e il sacro sono inseparabili, e il religioso gira attorno al meccanismo della vittima espiatoria, che ha il compito di tenere la violenza fuori dalla comunità. La società che si sente in pericolo tende a deviare la violenza in direzione di un essere sacrificabile, evitando una furia intestina capace di colpire i membri stessi del gruppo. Il sacrificio arriva così ad aggregare in un’unica vittima tutto il dissenso presente, spezzando il circolo della vendetta che altrimenti sarebbe inevitabile. I terrificanti riti e miti delle religioni primitive sono così una sorta di cura preventiva per evitare il diffondere di una furia ancor più grande.
“È la violenza che costituisce il vero cuore e l’anima del sacro” e dunque il rituale ha la necessità di dissiparla su vittime che non rischiano di essere ulteriormente vendicate. I sacrifici molteplici mettono in gioco una violenza stilizzata, che imita l'assassinio archetipico, nel tentativo di ripristinare l’ordine nella società.
Se "non si può fare a meno della violenza per porre fine alla violenza, ma è appunto per questo che la violenza è interminabile", da cosa è creata questa spirale degradante? L’antropologo punta il dito su un evento originario in cui la distruzione fondatrice è spontanea. A scatenarla è la conflittualità mimetica tra individui, ovvero il desiderio di imitare gli altri nel possesso e nella proprietà di un determinato oggetto.
La risoluzione di questa crisi corruttrice e indifferenziata dà il via al sacro e salva il gruppo in una funzione catartica che grazie al sacrificio riporta ordine nella collettività ripetendo il primo linciaggio spontaneo in un sistema di regole che puntano al capro espiatorio.
"Il religioso mira sempre a placare la violenza, a impedirle di scatenarsi", per Girard dunque la religione è legata alla violenza in quanto cerca di proiettarla all’esterno nella consapevolezza che essa rimane una minaccia trascendente.
Si può fare riferimento a René Girard oppure continuare sulla via dello scetticismo tracciata dal relativismo antropologico e sociologico dominante, ma di certo la rieducazione del conflitto e l'annullamento delle differenze non sono una via per diluire la violenza originaria.
Credersi più razionali ed evoluti cela un rischio, visto che la collera è imitativa ed il sacro è “tutto quel che domina l’uomo con tanta maggior sicurezza quanto più l’uomo si crede capace di dominarlo”.