L'amore tra il Vate e Tamara de Lempicka

Era stata tradita dal talento ma la fortuna l’aveva condotta sino alle soglie della vecchiaia. Nel passato, l’immediato entusiasmo del mondo elegante per le sue tele aveva influenzato la sua natura, impedendole di diventare quella che sarebbe stata in circostanze normali, un’ambigua signora di provincia. Tamara de Lempicka, dopo i trionfi iniziali nella Parigi dell’Art Déco, dopo i matrimoni, i divorzi e gli amanti, prima dell’ultimo conflitto mondiale fuggì in America con il ricco barone Kuffner strappato agli artigli di una ballerina. Il desiderio di successo che la ossessionava da sempre non si era mai placato. Questa sete famelica declinata in tutte le sue forme, si era nutrita di bellezza ed eleganza, amori veri, amori mercenari.

Ora, in lussuose dimore, cercava l’impossibile nelle fantasie di una mente stanca, abbandonando per sempre le reminescenze classiche che l’avevano portata al successo. Incerte e statiche, nelle allucinazioni dei suoi pennelli, apparivano le nuove immagini seguendo le recenti vocazioni dell’arte. La gente definiva i suoi dipinti divertenti e il timore confuso di avere inaridito il suo talento, di essere vuota, si rendeva concreto nelle sue opere. Non avrebbe sognato più nulla di nuovo. Era stata celebre negli ambienti artistici alla moda, per la sua forza, la sua bellezza, ora gli anni la rendevano tarda, pesante, grottesca.

Nel 1970, Alain Blondel, un giovane mercante d’arte parigino, progettò di lanciare una nuova galleria nel quartiere rivitalizzato di Les Halles e iniziò a formulare ipotesi su che fine avesse fatto la pittrice. Per una coincidenza, Tamara si trovava in città, nel suo studio, e quando Blondel chiese di visionare i dipinti fu accompagnato nell’appartamento della cameriera. In una stanza, al settimo piano del condominio progettato da Robert Mallet-Stevens, erano accatastate le sue vecchie opere. Dopo tre anni di trattative furono esposte, cominciò così un’ascesa artistica senza fine.

Nello stesso periodo, ritornò a galla il suo approccio ufficiale con D’Annunzio che contribuì ad alimentare un mito, anche se oramai tardivo.

Un’unione improbabile che ha lasciato libri, testimonianze, commenti e che ha trovato una cronista insolita in Aélis Mazoyer, entrata giovanissima al servizio di D’Annunzio come cameriera, divenuta sua amante, rimasta accanto a lui sino alla fine, autrice di un disordinato ma singolare diario.

Nel gennaio del 1927, l’uomo, oramai maturo e famoso invitò la donna al Vittoriale. Sembrava volesse un ritratto. Rinchiuso nel suo postribolo si era trasformato in un vecchio lupo drogato che cercava di sbranare le sue ultime prede, vivendo tra concubine ufficiali, governanti e bellezze di turno che si preoccupavano di organizzare per lui ogni sorta di piaceri, inclusa la dose giornaliera di cocaina. Scorrevano così gli ultimi anni di una vita inimitabile. La de Lempicka accettò la sfida. L’incontro con il Vate poteva essere utile per una definitiva consacrazione nel mondo dell’arte e della cultura.

Nonostante un’accoglienza al tuono di cannoni però si tirò indietro, decise che forse non ne valeva la pena. Seduzioni e promesse vane cambiarono le impressioni (Tamara trasgredirà alle regole del postribolo che la ospita e non andrà mai oltre l’approccio iniziale). Dopo averla sommersa di regali D’Annunzio la obbligò a lasciare il Vittoriale. Dalla corrispondenza intercorsa in seguito tra i due, l’eclettico scrittore si trasformò in un vecchio nano in divisa, lei in una sgualdrina di classe. Nello squallore del sesso mercenario, negli estremi dell’egoismo, nessuno aveva perdonato nulla all’altro. Nonostante le testimonianze non si conoscono tutte le ragioni, forse quello che per lui era un piacere, per lei era il destino.

Pochi anni più tardi, D’annunzio morì, dopo la fine del suo periodo creativo, come una triste immagine sacra, circondato dal ricordo dei fasti passati, nell’esilio ovattato da oggetti di ambiguo gusto dove Mussolini lo aveva relegato. Lei, dopo una vita di esplosioni mondane, dopo l’eclissi totale della sua arte negli anni cinquanta, prima e oltre la resurrezione artistica passerà il tempo tra un litigio e l’altro con la vittima preferita dal suo ego, la figlia Kizette.

Resta solo il dubbio, tra chi dei due, dopo una carriera folgorante di libri e di amori dipinti, fosse il miglior mercante di se stesso, quello più amato dalla fortuna, che non regala mai per sempre, avida strozzina, crudele cameriera nelle porte del destino.

 

 

19-08-2015 | 13:21