La Cina è (sempre) più vicina

L'ultimo caso mediatico di successo, i famigerati Panama Leak, ci permette di scavare a fondo riportando a galla una trasformazione di fondamentale importanza per tutto il mondo.

Nell'infinita lista di clienti del sistema di conti offshore compare un riferimento al cognato di Xi Jinping, il Presidente della Repubblica popolare cinese e Segretario Generale del Partito Comunista Cinese. La presenza di ingenti somme di denaro in paradisi fiscali non sarebbe proprio in linea con i dettami del Partito, impegnato tra l'altro in una viscerale campagna contro la corruzione interna. Pettegolezzi a parte ci si deve concentrare sulla storia, ancora poco presente nei testi scolastici, che ha maggiormente rivoluzionato il contesto geopolitico nell'ultimo secolo. “Come la Cina è diventata un Paese capitalista”, edito dalla casa editrice dell'Istituto Bruno Leoni, è un testo centrale di Ronald Coase e Ning Wang per comprendere il grandissimo potenziale di crescita ancora presente in Cina, partendo da un'economia socialista basata sull'agricoltura.

La Cina comunista di Mao abbattè il feudalesimo, portando tuttavia il popolo verso la più letale carestia della storia umana. Un vero e proprio sterminio passato sotto silenzio in cui persero la vita dai 30 ai 40 milioni di contadini, morti di fame a seguito del Grande Balzo in Avanti, il piano centralizzato del Partito. Un rigido controllo della migrazione interna unito a un radicale anti-intellettualismo e al monopolio della comunicazione creò un paradosso: mentre i cinesi morivano di fame la Cina esportava grano in maniera sempre più totale. La morte di Mao, dopo l'ennesimo scontato fallimento della Rivoluzione Culturale, ha portato un primo raggio di luce su di un popolo martoriato dall'utopia comunista.

“Prima arricchite le persone, poi educatele”, questo adagio di Confucio spiega meglio di qualsiasi altro testo un retroterra culturale non proprio contrario al libero mercato.

Come è avvenuta dunque la straordinaria evoluzione della Cina recente? La rottura con il passato è stata tutt'altro che immediata. La maggior parte dei libri di testo scolastici, quando ne parlano, spiega che il passaggio tra un sistema e l'altro è avvenuto grazie alla mano della Stato, guidato dal pragmatico Deng Xiaoping. Raschiando questo strato superficiale c'è dell'altro, Coase e Wang parlano di “Rivoluzioni Marginali”. Ovvero? Semplicemente storie di ostinata imprenditoria privata, con esperimenti audaci, ma graduali che hanno nel tempo costruito due binari. Da una parte il governo che ha cercato di programmare i cambiamenti modernizzando il socialismo, dall'altra i movimenti spontanei e popolari in grado di sviluppare reale progresso.

Le pratiche, spesso osteggiate e proibite, si diffusero in modo informale e silenzioso nelle province; l'agricoltura privata, il lavoro autonomo in città e le Zone Economiche Speciali divennero negli anni '80 il vero motore della crescita. Il rinnovato pragmatismo del Partito, sintetizzato perfettamente dal detto “non discutere, ma tenta esperimenti e traccia nuove vie”, fece sì che il governo allentò il controllo sulle innovazioni di veri e propri pionieri. La spina dorsale della rinascita si sviluppò ai margini allontanando il socialismo dalla statica immagine tradizionale. Pechino si è presa i meriti grazie alla propaganda e ha nel tempo sfruttato questo secondo binario non intenzionale per rimanere formalmente legata all'immagine della Cina popolare. A metà anni '90 decisive furono infine la riforma dei prezzi e delle tassazioni, con le prime privatizzazioni che combinavano iniziative di privati a esperimenti guidati.

In definitiva il ruolo del Partito Comunista, che nonostante scandali e conflitti interni dimostra continuità, è funzionale alla copertura di due grandi cambiamenti: il ruolo della Stato, fortemente ridotto, e i privati che rappresentano il vero nuovo motore della Cina. La paura sempre assillante che l'economia cinese, essa ha rotto il nostro monopolio sul capitalismo, rappresenti una minaccia è semplicemente una reazione di paura verso un'economia sempre più globale. Mentre i discorsi sulle crescenti disuguaglianze sociali ed economiche interne sono quantomeno etnocentrici ed ipocriti, dimenticando i patimenti del passato e i morti. I numeri parlano chiaro: le riforme orientate al mercato e l'afflusso di investimenti esteri hanno consentito a milioni di cinesi di uscire dalla povertà, alzando decisamente il loro livello di vita.

Chiudiamo con un passaggio significativo del libro, dove si comprende il reale stato delle cose poco dopo la morte di Mao quando il gigante cinese si è svegliato dall'incubo.

Wang Zhen, all'epoca Primo ministro incaricato dello sviluppo industriale, si recò in Gran Bretagna dal 6 al 17 novembre del 1978. […] La conoscenza di Wang del capitalismo britannico era in gran parte derivante dagli scritti di Marx. A Londra si aspettava di trovare bassifondi e povertà, miseria e sfruttamento. Con grande sorpresa scoprì che il suo stipendio era solamente un sesto di quello di uno spazzino della città.

“Penso che la Gran Bretagna abbia fatto un buon lavoro. I prodotti sono abbondanti; le tre ineguaglianze [quella fra aree urbane e rurali, fra industria e agricoltura e fra lavoro mentale e manuale, la cui eliminazione secondo Marx, era compito cruciale] sono quasi del tutto risolte; la giustizia sociale e il Welfare hanno ricevuto molta attenzione. La Gran Bretagna sarebbe semplicemente il nostro modello di società comunista se solo fosse governata da un partito comunista”.  

 

 

27-04-2016 | 15:02