La gelosia non è un romanzo

Marcello De Blasio

La gelosia (La jalousie, 1957) è un’opera letteraria di Alain Robbe-Grillet, sicuramente una delle più celebri dello scrittore e regista francese assieme a Nel labirinto (1959) e a Il voyeur (1955). Usiamo volutamente l’espressione “opera letteraria” perché La gelosia è un libro impossibile da classificare, ostico da penetrare e difficilissimo da leggere, un libro che potrebbe essere un documento scientifico oppure un resoconto dettagliato degno di un architetto e che, sicuramente, è improprio definire romanzo. Non per niente La gelosia fa parte della corrente del Nouveau Roman, anzi è un’opera che ne racchiude tutti i tratti essenziali, una sorta di manifesto letterario che ne esplicita concretamente la poetica, ovvero (a grandissime linee) la scomparsa del protagonista, l’azzeramento della trama, l’utilizzo massiccio e maniacale delle descrizioni, il predominio della realtà degli oggetti sulla realtà degli uomini.

Questo sia detto unicamente per inquadrare il libro, poiché il Nouveau Roman (termine coniato da Emile Henriot) non è una scuola dotata di un manifesto, bensì una tendenza letteraria che ha preso vita in Francia tra gli anni ’50 e ’60 e che ha come protagonisti, oltre al romanziere in questione, cioè Robbe-Grillet, Claude Simon, Nathalie Sarraute, Michel Butor, Marguerite Duras, solo per citarne alcuni. Si tratta di una sorta di piega all’interno della letteratura, di una svolta che ribalta e neutralizza l’impostazione tradizionale del romanzo senza seguire un codice, bensì manifestandosi attraverso la cifra stilistica di ogni singolo autore. D’altro canto è anche vero che Alain Robbe-Grillet, protagonista assoluto del Nouveau Roman, ha scritto nel 1963 un saggio intitolato Pour un Nouveau Roman, nel quale le intenzioni e le caratteristiche del movimento vengono esposte e discusse, dando così alla corrente uno spessore concettuale che la rende, tutto sommato, abbastanza rappresentabile.

Torniamo a La gelosia. Non è neanche necessario incominciarne la lettura per rendersi conto di avere tra le mani qualcosa di anomalo: in prima pagina si trova la planimetria di un’abitazione, disegnata a regola d’arte, con tanto di legenda e relativi riferimenti alla posizione delle stanze, alla posizione del sole, all’orientamento spaziale dell’edificio. “Ora l’ombra della trave – la trave che sostiene l’angolo sud-ovest del tetto – divide in due parti uguali l’angolo corrispondente della terrazza. Questa terrazza è un largo ballatoio coperto che circonda la casa da tre lati”. È l’inizio dell’opera estrema di Robbe-Grillet. La descrizione dell’edificio prosegue lungo tutto il libro, alternandosi alla descrizione morbosa delle piantagioni che lo circondano e ai fugaci e ambigui riferimenti alla situazione che vede coinvolti Franck, A. e X. Poco o niente si sa di quello che accade. Si intuisce un probabile tradimento di A. nei confronti del marito X; rapidi e ripetuti accenni a una gita in furgone fanno sospettare che si consumi un adulterio (interessante, al riguardo, il titolo: la gelosia, oltre a riferirsi al noto sentimento, indica anche delle particolari persiane che coprono le finestre in modo tale da permettere di guardare dall’interno verso l’esterno, ma non viceversa, con un verosimile collegamento al desiderio dei mariti di impedire ai passanti di vedere le proprie mogli dalla strada). Per il resto, la trama e gli eventi a essa connessi sono completamente vaghi e incerti. Ancora più vago è il protagonista, ridotto a una mera incognita, di cui nulla sappiamo ma che di certo è relegato alla funzione di osservatore ossessivo e precisissimo, autentico narratore-occhio che osserva lo spazio e analizza la situazione con un tecnicismo rigidissimo. Questo fenomeno di osservazione iperrealista è il motivo per cui il Nouveau Roman viene anche definito école du regard, ossia scuola dello sguardo, esprimendo in modo chiaro il totale annientamento del protagonista-soggetto e della trama del romanzo in virtù di un’oggettiva visione e descrizione dello spazio e degli oggetti. Si noti al riguardo una delle tante, celebri descrizioni del millepiedi:

Sul muro di fronte il millepiedi è al suo posto, nel bel mezzo della parete.

 

S’è fermato – trattino obliquo d’una decina di centimetri – giusto all’altezza dello sguardo, a mezza strada tra lo spigolo dello zoccolo (alla soglia del corridoio) e l’angolo del soffitto. Resta immobile. Solo le antenne s’abbassano e si rialzano alternatamente, con moto lento ma continuo.

Alla sua estremità posteriore, lo sviluppo considerevole delle zampe – dell’ultimo paio, soprattutto, che supera per lunghezza le antenne – permette di riconoscere con sicurezza la scutigera, detta “millepiedi-ragno”, o anche “millepiedi-minuto”, per via d’una credenza indigena circa la rapidità d’azione della sua puntura, ritenuta mortale. Questa specie è in realtà poco velenosa; molto meno, comunque, di diverse scolopendre frequenti nella regione.

 

È fondamentale notare come questo aspetto manifesti una delle forze più incisive della letteratura: la proliferazione della realtà. Succede che il lettore tenda a stancarsi e a storcere il naso di fronte a un utilizzo estenuante della descrizione. Ma a una più attenta analisi ci si rende conto che la potenza della scrittura risiede anche nel dar vita, trascrivendoli, a tutti gli elementi che compongono la realtà. Perché gli uomini sono esseri distratti. La nostra attenzione nei confronti del mondo che ci circonda è tutt’altro che infallibile: buona parte della realtà esteriore (e interiore) cade sotto la più totale indifferenza e sfugge alla percezione. Un occhio attentissimo come quello di Robbe-Grillet, invece, restituisce la realtà nella sua interezza, con tutti i suoi dettagli e con tutte le sue innumerevoli sfumature. La letteratura è in grado di estrapolare dal nulla quella fetta di mondo che non viene vista, e senza letteratura resterebbe in ombra tutto l’universo di dettagli che costituisce la ricchezza del mondo esterno, e che per gran parte della nostra vita viene tagliato via o, nella migliore delle ipotesi, reso approssimativo e stereotipato. La scrittura è la traccia infinita della realtà.

La gelosia è quindi un documento fedelissimo degli oggetti e dello spazio fisico, un’opera letteraria che in poco più di cento pagine condensa tutti i dettagli di una parte di realtà (la casa, il bananeto, le stanze, il millepiedi, le ombre).

C’è però qualcosa di incredibile ne La gelosia e in generale nelle opere letterarie del Nouveau Roman. Esse vengono composte nella fase in cui la letteratura è massimamente distante dalla descrizione della realtà. Da Joyce a Beckett (contemporaneo e conoscitore dei nouveaux romanciers), la separazione uomo-realtà non permette più al linguaggio letterario di parlare del mondo. Il linguaggio, la scrittura, non possono più essere realisti: semmai si può parlare del proprio universo interiore, e il flusso di coscienza ne è la prova più estrema ed evidente. Cosa succede allora con questi scrittori? Perché, in qualche modo improvvisamente, la realtà torna a dominare e a tiranneggiare l’uomo fino a schiacciarlo a una semplice X come il protagonista de La gelosia? Perché la scrittura stampa perfettamente il mondo nel suo complicatissimo insieme? Perché le parole e le cose sono nuovamente tutt’uno?

Possiamo rispondere in due modi. O, dopo la rivoluzione letteraria di Joyce, di Woolf, di Beckett, una nuova scossa ribalta l’architettura della letteratura, e la realtà torna a imporsi nella sua necessità ed evidenza, ricollegandosi alla parola e affidando alla scrittura il compito di trascriverla. Oppure, il Nouveau Roman è semplicemente coerente con la crisi del XX secolo e non fa che rimarcare l’erosione dei confini del romanzo, esaltando attraverso un paradosso l’impossibilità di descrivere il mondo. La gelosia è, infatti, un testo che traduce fedelmente la realtà fin nei suoi più piccoli dettagli. L’uomo non conta più: a comandare sono gli oggetti, lo spazio, le luci, i volumi, e a questi la scrittura deve sottomettersi. Ma non sarà forse perché la realtà è definitivamente separata dall’uomo – inesorabilmente indescrivibile, ineffabile, scollata, indecifrabile – che alcune opere letterarie cercano disperatamente di ritrovare un punto d’aggancio con essa? L’estremizzazione della descrizione non diverrebbe, allora, un sintomo di quella rottura che ha allontanato l’uomo dal suo mondo? La descrizione infinita che forma l’ossatura de La gelosia potrebbe tradire il senso di vuoto che alberga nel cuore della realtà; una realtà ormai completamente inafferrabile, aliena, inenarrabile, scavata al suo interno come un buco nero pronto a inghiottire la scrittura.

 

 

30-01-2019 | 15:21