L'imbelle ribelle

“Noi le mascherine non ce le metteremo mai!”, seguono imprecazioni, parolacce e botte ai vigili urbani. È successo a Roma nei giorni scorsi e gli aggressori erano ragazzi giovani: un racconto che si ripeterà spesso, c’è da giurarci. Sì, perché in Italia – ma non solo – sta nascendo una nuova, miserrima figura, il “ribelle della mascherina”, ossia colui che sprezzante delle indicazioni dell’Autorità – e fiancheggiato dal politicume più bieco della Storia italiana – decide che no, lui non se la mette. È bene ricordarlo, lo scorso 6 giugno l’Organizzazione mondiale della Sanità ha emanato le nuove linee guida: le mascherine vanno indossate nei luoghi pubblici “dove l’allontanamento fisico è difficile” da tutti e “non più solo da operatori sanitari” (tornando, dunque, addirittura sui suoi passi) perché “la pandemia sta accelerando”, parola del suo direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, il 7 luglio. E, purtroppo, aveva ragione: oggi i numeri ricominciano ad essere preoccupanti. Ma non per loro, il popolo no-mask, che in ogni parte del mondo sta facendo proseliti sui social e nelle piazze: il leader – non ridete – sembra essere Miguel Bosé.

Che poi uno pensa: ma che problema c’è se per un periodo dovrò mettere una mascherina in presenza di altri, lavarmi le mani e tenere un amico appena distante? Certo non piace a nessuno portare un pezzo di carta davanti alla bocca, però per questi è peggio di un sequestro di persona. 

Una figura, quella del no-mask, che fa il paio con un’altra, tanto in voga da noi: il no-tax, ossia l’evasore fiscale. Che in Italia, si badi, non è definito un criminale – se i posti in terapia intensiva sono meno è anche grazie a lui, non dimentichiamolo mai – e neanche un cretino come meriterebbe: no, qui da noi è un furbetto, quasi un ganzo. Invece è semplicemente un miserabile, uno che si alza da tavola dopo aver mangiato e lascia il conto da pagare agli altri (sempre). Uno che se la metafora diventasse realtà come minimo lo prenderemmo a calci nel sedere, altro che dargli del “furbetto” – Aldo Busi ha sempre ripetuto una cosa, come fosse un mantra: “Sa perché pago tutte le tasse? Perché è giusto e perché al primo che mi dice bau gli posso fare un culo così”. Parole sante. Ecco, il ribelle della mascherina è un po’ come l’evasore, un farabutto che si sente un furbo. E che con il suo comportamento meschino mette a repentaglio la salute di tutti. E, notate bene, è ben protetto da alcuni intellettuali (soprattutto de’ destra) che più volte sbraitano al riguardo. Più che altro scribacchini accostumati da secoli di servitù prezzolata e che da tempo versano il loro servile scherno addosso a chi non si ribella alle prescrizioni del Governo (peraltro gridando oggi una cosa e domani il suo contrario, ma vabbè…). E allora vedi lo scrittore che invoca la rivolta contro la dittatura (ma per favore! Neanche Totò e Peppino…) o il saggista che si appella a Maria Vergine e Madre per (testuale) “proteggere il suo popolo”. Gentaglia che vuole solo appartenere alla parrocchia trionfante del momento (stando ai sondaggi) per poi, c’è da giurarci, pietire una prebenda qualsiasi al momento della futura riscossa.

Il più no-mask dei politici, neanche a dirlo, è Matteo Salvini: non la mette (o la abbassa) nelle piazze, la rifiuta in Senato, non la vuol far mettere alla figlia a scuola (confidiamo nella madre della piccola) e la rigetta nel suo orizzonte mentale: memorabile quale volta che ospite di Giovanni Floris disse: “Non posso abbassarmi la mascherina se parlo con una signora?!” con il conduttore che rispose in modo ancor più memorabile: “Eh no! Se non sta a un metro e mezzo, no!”. Cosa che, tra l’altro, sembra avergli fatto perdere consensi. Ma perché non glielo dicono? Si dirà, uno ha gli spin doctor che merita: se Alessandro Magno aveva Aristotele, Augusto aveva Virgilio, Nerone aveva Seneca e lui ha tal Luca Morisi, uno che di autodefinisce “digital philosopher”, qualcosa vorrà dire.

E i profeti della post-modernità grulla, quelli della peggior cultura d’accatto di cui sopra, diranno che va bene così: perché essere conseguenti in un ragionamento? Perché trovare un nesso, anche solo sintattico, in ciò che si dice? Tanto il voto è questione di quantità, non di qualità, quindi spariamola sempre più grossa. L’intellettuale no-mask ama molto politici come Trump, Johonson e Bolsonaro, perché, sostiene lui, sono uomini che che nella vita hanno praticato la politica “vera” o hanno “dato da mangiare” a tante famiglie (pietose metafore del “saper fare” molto in voga in questo circo sociale). Infatti si veda cosa hanno combinato, e stanno combinando, durante la pandemia. Il primo, all’apice del suo delirio, il 23 aprile ha quasi esortato gli americani a farsi iniezioni sperimentali di disinfettante, con le maggiori aziende produttrici costrette a pubblicare comunicati contro la pratica presidenziale. O Boris Johnson, che oltre a recitare l’Iliade a memoria in greco antico, sognava l’immunità di gregge: ha poi cambiato idea quando è finito all’ospedale con il Covid. Su Bolsonaro non vorremmo infierire come sulla Croce Rossa, come si dice, che oltre dire scemenze una dietro l’altra e avere il Brasile in ginocchio, se lo è beccato anche lui – ma cosa aspettarsi da uno che qualche giorno fa ha preso in braccio un nano scambiandolo per un bambino? 

Ma niente, i no-mask amano queste figure e odiano il premer Conte, che invece è stato il più serio a gestire l’emergenza (un modello per il New York Times, n.d.r.). Però loro no, non lo amano. Neanche ad agosto, perché ha chiuso le discoteche – che strano premier, chiudere luoghi dove i ragazzi stanno appiccicati, ma come gli sarà venuto in mente?! Prendiamo la Sardegna, che da regione covid-free è diventata presto maglia nera di focolai. Ecco, qui si è arrabbiato molto Flavio Briatore, che ha intrapreso un aspro duello dialettico (vabbè) con il sindaco di Arzachena, reo secondo lui di aver inasprito troppo le restrizioni. Tuonava solo qualche giorno fa: “Non so come il sindaco possa collegare i decibel con il virus?!”. Tempo due giorni e hanno beccato un focolaio al Billionaire, con i dipendenti tutti in quarantena. D’altronde “un bel tacer / mai scritto fu”, sancì il poeta. Ma era durante il ritorno a Itaca, non al Billionaire. 

 

 

27-08-2020 | 10:36