La bellezza della piovra
Una scarica frastornante, generata dal contatto fra contrari. Come un fulmine, ma in bocca, secondo un modello di bellezza presente nell’estetica occidentale fin dall’antica Grecia. Lorenzo Cogo docet.
Una scarica frastornante, generata dal contatto fra contrari. Come un fulmine, ma in bocca, secondo un modello di bellezza presente nell’estetica occidentale fin dall’antica Grecia. Lorenzo Cogo docet.
Un piatto spiazzante e stordente qui a Ragusa, nel centro dell’Ibleide più profonda. Un piatto che ha rimandi botturiani (il camouflage) e sultaneschi (la triglia con “sanapo”) ma che nonostante ciò ha grande personalità e originalità. Una triglia che viene dal mare della Sicilia fragrante, sapida e iodata
Federico Zanasi, che di Cedroni è stato allievo per dieci anni, fra Madonnina del Pescatore e Clandestino, oggi propone verza brasata, olandese di capretto, mandorle bruciate e tartufo bianco. Che da farsi a 2 mila metri sopra il livello del mare è cosa notevole.
Da una parte il controfiletto appena rosolato e avvolto in una foglia di verza, sbollentata e caramellata in forno; fatto riposare e riscaldato nel suo involucro. Dall’altra lo spicchio di pera aromatizzata in osmosi, ossia sottovuoto, con peperoncino habanero e cardamomo, per una sensazione di mostarda ma a crudo, fresca e croccante. Tutto questo da chef Alessandro Panichi.
Rimbalza dal piatto di Alessandro Dal Degan, un misterioso crogiolo di ingredienti tanto poveri quanto disparati, che esplodono nella luce spietata del suo flash. Come è bello il giallo, allora: quello della trippa cotta in bianco e mantecata con tuorlo d’uovo, succo di limone e Parmigiano, come una comune fricassea. Vicina a Vincent van Gogh.
C’era una volta uno scampo. Abitava gli anfratti marini che circondano le coste siciliane. Un giorno venne pescato e selezionato, insieme a pochi altri, per la cassetta di crostacei più belli. Quella partita preziosa che, come sempre, sarebbe stata acquistata da Pino Possoni per il suo ristorante. Giunto in cucina, lo scampo venne a lungo ammirato per la bellezza, la consistenza, il dolce profumo.
Conviene ripartire dalla fettuccina. Quella al “doppio burro” e Parmigiano che (dicunt) tale Alfredo Di Lelio, cuoco a Roma, inventò nel 1914 per spingere la moglie, inappetente, a nutrirsi (riuscendoci, pare). E che, sbarcata nel menu del di lui locale, divenne un hit “presunto romano” negli Usa al tempo della Cinecittà zeppa di divi.
Una cucina tra le più francesi che ci sia capitato di incontrare nel nostro Paese. Non tanto - anche se comunque - per la tecnica espressa nelle cotture, nello studio degli abbinamenti e nel rigore delle realizzazioni, quanto per la precisione maniacale del cuoco, il grande chef Andrea Berton. Una cucina a tratti schiva e delicata, timida e riflessiva che rifugge dall'imperfezione stilistica. Poi ci si avvicina al menù “Brodi” e si entra in un’altra dimensione.
Non sarà forse la caffeina, trasmessa in piccolissime dosi alla polpa grazie alla superficie di contatto in cottura, per la mediazione dell’acqua, ma sta di fatto che lo sgombro di Valentino Cassanelli vola sul piatto come un pesce farfalla, mai così agile e leggero. E della farfalla imita il colpo d’ala nella cialda di patate viola, lessate con l’aceto, passate, stese, essiccate e fritte, per un effetto glossy e segoso.
Andrea Ribaldone chef de "I due buoi" di Alessandria ci presenta gli agnolotti ripieni di vitello ed erbe aromatiche. Quindi una sfoglia tutta tuorli, come piace in Piemonte, e il ripieno di sempre, secondo la ricetta di zia Tilde, tipica di Lu Monferrato.
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