Brancati in cerca di sensualità

Vitaliano Brancati, lo scrittore più meridionale d'Italia, del meridione porta il tratto di una leggerezza che è tutta distanza fra le cose e l'esistenza.

Durante il regime e la guerra, in simpatia con il Fascismo, racconta di personaggi grotteschi, sospesi fra il conformismo e l'indifferenza. Sono i ritratti dei Don Giovanni siciliani, ora vantoni quanto impotenti, tutti inebriati di una sensualità totalizzante che è  “l’avere i sogni, e il sangue stesso, perpetuamente abitati dalla donna”, fino al paradosso di non sostenere nemmeno la sua presenza.

Emblemi popolari di virilità e orgoglio. Il primo, Giovanni, è l'inetto che fino a "trentasei anni non aveva baciato una signorina perbene"e vive nella perpetua infanzia delle cure di tre sorelle, spiando di nascosto le femmine che passano.

Diversamente dal Don Giovanni descritto da Camus - l'uomo che amando ogni donna con la stessa passione, sceglie di essere il nulla - il Don Giovanni di Brancati è infantile, acerbo, vanitoso e insieme prepotente. Per alcuni, c'è la satira della Sicilia fascista. Per altri, l'eco di Jung, il trauma di un’idealizzazione ipertrofica della Madre.

C’è che da Santa Rosalia a Sant'Agata, attraverso gli infiniti culti della Madonna, il divino in Sicilia ha il bel viso della donna.

Posta nel cielo, come una Dea, in questa Sicilia la Donna è esclusa dalla verità della terra. Il corpo vietato definisce il Sacro, il Sacro violato definisce l'Eros.

Nell'isola descritta da Brancati,  la potenza femminile proibita, si accresce di questa costrizione; allungando la gonna sotto il ginocchio, il brivido scivolava nella caviglia; coprendo il capo nel velo, il fuoco arde nel più fugace degli sguardi. 

Ma se la Donna è altrove, l'Eros ha per oggetto soltanto una figura immaginaria.  Così Brancati, del suo Giovanni, racconta che “Fra lui e le donne ci fu sempre una certa distanza. La sua emozione era tanto maggiore quanto diventava la distanza. Il massimo della felicità, egli lo raggiungeva la notte, se al di sopra di un cumulo di tetti, quasi in mezzo alle nuvole, si accendeva una finestra rossa, nella quale passava ripassava una figura di donna”.

Con il suo caratteristico senso satirico, Brancati ci racconta poi del Bell'Antonio cresciuto nel mito della virilità e della seduzione.

Desiderato da ogni femmina del paese e invidiato da ogni uomo, una volta sposato con la bella figlia del notaio, dovrà confessare la sua impotenza. Incapace di amare nel sesso, Antonio incarna lo stereotipo del siciliano - ma sì, anche dell’italiano  -  per il quale  fottere è il senso della vita, perché “noi italiani pensiamo sempre a una cosa, a una sola cosa, a quella!”. Prigioniero della separazione fra anima e corpo, inetto nella vita quanto impotente fra le lenzuola, il Bell'Antonio è un eterno adolescente, inseguito e infine sconfitto dai miti della società e delle sue strutture.

Come un sole che sorge o che tramonta, nella trilogia di Brancati, l'Eros sembra spingersi oltre il suo culmine, fino a sconfinare nel Thanatos che vi è contrapposto.

Se impossibile è l'amore per una donna, giacché ogni donna concreta rivela il limite della sua realtà sul grado infinito dell'amore, il Don Giovanni in Sicilia può ben desiderare all'infinito le donne che non vorrà mai avere e non saprà mai amare.

C'è un ritorno del miglior Leopardi, in queste negazioni, perché se il piacere qui è l'unica felicità, ugualmente risiede nell'attesa di ciò che altrove sarà o è stato,  e mai in ciò che è qui e adesso.

Nell'ultimo romanzo, “Paolo il caldo”, le tinte di Brancati si fanno fosche. Siamo negli anni in cui Brancati, travagliatissimo, matura convinzioni antifasciste, fino ad avvicinarsi alla fede nel Cristo.

Paolo, figlio di baroni, nato in una famiglia ossessionata dal sesso e dal possesso, è un uomo in preda a un delirio e in questa rincorsa consuma ogni energia vitale. Nel romanzo di Brancati è arrivata la modernità, e il sesso è la chiave dell'incapacità di vivere che nulla potrà guarire.

Nella condanna di Paolo, qua e là, sembra di rileggere il Kierkegaard del Seduttore. L'ultimo gallo di Brancati avverte il nulla e sente il disgusto e la nausea dell'esistenza, ma non vi ha rimedio, se non nella colpa.

“Un’artista - fara' confessare Bracanti al suo personaggio - dev’essere sensuale, deve far sentire gli odori, i sapori, il contorno delle cose. Senza sensualità, non si riesce a rappresentare nulla. E io consumo tutta la mia sensualità nella vita.”

 

 

 

24-02-2016 | 14:26