Cento anni di un genio

È il mese di ottobre del memorabile anno 1917; mentre la vecchia Europa continua a massacrarsi – stavolta portandosi dietro mezzo mondo – a migliaia di chilometri di distanza ci sono altre urla, in un’aria strana, di rivoluzione. È il 10 ottobre del calendario gregoriano, non di quello giuliano, e a Rocky Mount, North Carolina, nasce Thelonious Monk, il futuro santone e rivoluzionario del jazz.

Trent’anni dopo – quando è da poco finito il secondo massacro mondiale – New York è definitivamente diventata la nuova Roma, caput mundi dove si balla e si beve nei club e nei locali notturni a ritmo di jazz, soprattutto nella cinquantaduesima strada. Gli Stati Uniti hanno aiutato il mondo a liberarsi dall’orrore e dalla banalità del nazi-fascismo e ora si preparano a riceverne i benefici. Sono anni di libertà in cui il mondo cerca di capire dove andare, prima di prendere la grigia strada della guerra fredda.

Anche se la sua epoca d’oro è ormai finita, il jazz se la passa ancora abbastanza bene e ha conosciuto una nuova generazione di musicisti che a colpi di jam session attraggono il giovane e trasgressivo popolo notturno. Il bebop scuote il mondo musicale con un ritmo che sorpassa, almeno in quanto a velocità, la musica dei grandi, di Duke Ellington e di Louis Armstrong, facendo vivere una seconda vita, notturna, a locali come il Minton’s Playhouse, dove personaggi come Dizzy Gillespie, Charlie Parker, Max Roach e Thelonious Monk intrattengono fuori orario una clientela più aperta e sregolata rispetto a quella del jazz classico.

Le prime registrazioni di Monk, eseguite tra il ’47 e il ’52 per la storica Blue Note, vengono pubblicate nel ’51 e nel ’52 con il titolo Genius of Modern Music, e tra esse figurano futuri standard jazzistici come Round Midnight e Straight, No Chaser. Monk, pur non avendo la stessa fama di Gillespie e Parker, ha un’aura che sembra attrarre tutti, soprattutto i più giovani come Miles Davis, John Coltrane, Sonny Rollins e le generazioni successive. Davis pubblicherà nel ’57 l’album ‘Round About Midnight, frequentando spesso casa Monk per avere il responso del carismatico compositore; John Coltrane rimarrà profondamente segnato dal rapporto con Monk sia dal punto di vista musicale che da quello umano, lodandolo per tutta la vita; Rollins scrive con Monk alcune delle più belle e originali pagine della storia del jazz, crescendo e sviluppando il proprio stile anche grazie al genio originario del North Carolina.

Negli anni Cinquanta, il decennio del conformismo americano e del maccartismo, Thelonious sviluppa la sua idea musicale in direzione sempre più eterodossa, facendo compiere al jazz il primo passo da gigante tra quelli che farà in futuro con Coltrane, Ornette Coleman, Sun Ra e il cosmic jazz. È di fatto uno dei grandi ribelli americani, fuori da ogni convenzione, e suona un jazz al contempo difficile e ascoltabile, tecnico ma blues; è in linea con l’intellettualizzazione del jazz causata dall’arrivo del rock and roll – i giovani preferiscono ballare il nuovo genere e il jazz si sposta gradualmente verso una dimensione elitaria, con dovute eccezioni – ma non è intellettuale, piuttosto intelligente, viscerale, autentico.

Monk attira attorno a sé sempre più stima nell’ambiente musicale americano – facendosi conoscere anche in Europa – e si sente libero di ricorrere alla musica del jazzista che in passato lo aveva forse più influenzato, omaggiandolo nel 1955 con il disco Thelonious Monk Plays the Music of Duke Ellington, prima di capolavori che entreranno anche iconograficamente nella storia del jazz, con una musica che, come i suoi copricapi, è sempre interessante e spesso imprevedibile. Con il disco Brilliant Corners del ’56, Monk dà forse la sua più grande dimostrazione di genialità musicale e di interesse verso nuovi suoni e nuove forme compositive – Monk trova una celesta nello studio e la usa, così come fa Roach con i timpani – con la title track che richiede un numero impressionante di registrazioni a causa della sua elevata difficoltà tecnica, mettendo seriamente in difficoltà i suoi sassofonisti, ma elevando il suo genio agli occhi di tutta la critica; in Monk’s Music, nel ’57, si fa ritrarre in copertina nel tipico carretto con cui giocavano i bambini americani; nel 1962 Monk’s Dream è il suo primo disco per la Columbia, segno di personalità e di un’affermazione che giunge su vasta scala, nonché capolavoro di modernità che riesce anche ad attingere dal blues, dalle origini; anche le ultime composizioni sono interessanti, come Underground del 1968, l’ultimo grande disco di Monk, che vincerà un Grammy soltanto per la sua copertina.

Il santone del jazz sarà vittima di una malattia mentale che lo porterà all’isolamento e a un mutismo patologico, dopo una vita passata nelle profondità della musica. Gli aneddoti su Monk sono centinaia, perlopiù insoliti – in Italia sono apparsi due ottimi libri per Minimum Fax, Storia di un genio americano di Robin D.G. Kelley e Monk himself. La vita e la musica di Thelonious Monk di Laurent De Wilde – e la sua importanza nella storia del jazz – oltre al suo fascino – è tanta e tale da renderne obbligatorio un omaggio a cento anni dalla nascita.

 

 

11-10-2017 | 18:10