Nadine che scriveva della vita

Vincitrice del Booker Prize nel 1974 e del Nobel nel 1991, Nadine Gordimer è stata una prolifica autrice di romanzi, racconti e saggi che hanno arricchito la vita e la letteratura mondiale per quasi cinquant’anni. A ridosso della sua scomparsa, ci piace renderle omaggio ricordando la sua memorabile Lectio Magistralis tenuta durante il conferimento del Premio Nobel e tradotta in molte lingue. In Italia, il libro si intitola Scrivere è vivere ed è stato pubblicato da Datanews nel 2007 insieme ad altri scritti e interviste. Si tratta di un testo breve ma ricchissimo che pare davvero riassumere la poetica e l’(est)etica dell’autrice sudafricana “che scrive della vita e per la vita dell'uomo e dei suoi diritti inalienabili”.

La raccolta offre una disamina dettagliata e accorta del lucido pensiero politico di Gordimer e, soprattutto, una chiave utilissima per comprendere il suo personale discorso teorico e letterario. Le interviste sono tutte mirate all'approfondimento dei temi più cari all'autrice, impegnata nella lotta pre e post-apartheid: il razzismo e l'intolleranza, la censura, la condizione africana, il sessismo e l'omofobia e, soprattutto, il correttissimo "razzismo al contrario", lo stesso concetto buonista di falsa accettazione delle minoranze che spinse l'autrice a rifiutare la candidatura al prestigioso Orange Prize nel 1998, non accettando che un premio letterario fosse riservato a scrittrici donne, categoria per lei troppo angusta (e ovviamente ingiusta), sinonimo inconsapevole dello stesso razzismo maschilista che lei, vera donna intellettuale, aveva sempre combattuto. L'errore è quello di “incasellare gli esseri umani in categorie”, mentre il compito dello scrittore è quello di guardare “oltre”, di guardare a quella complessità che oggi, per ragioni politico-economiche, è troppo spesso rimpiazzata da un appiattimento e da un istupidimento intellettuali, frutto di una globalizzazione telematico-televisiva che non equivale ad arricchimento e diversificazione ma, al contrario, corrisponde solo a un'eccessiva semplificazione e omologazione.

Pur mescolando continuamente il discorso politico e quello personale, Gordimer afferma, seguendo Marquez, che “il modo migliore di uno scrittore per servire la rivoluzione, è scrivere meglio che può”. Scrittura che dunque agisce sulla storia al pari di quanto la storia non agisca sulla scrittura stessa. In questa oscillazione tra questione politica ed esistenziale che vede l'artista contemporaneamente fuori e dentro la storia, calato e al contempo distaccato rispetto alle vite che racconta, Gordimer situa il nucleo del significato della (sua) scrittura. I suoi personaggi sono, infatti, come nella teoria di Georg Lukàcs, una rappresentazione simultanea di individualità e tipizzazione storico-sociale. L'autrice ricerca, infatti, la “parola delle parole”, quell'espressione – ispirata ma anche profondamente inserita e modellata nelle strutture sociali del suo tempo – in grado di “produrre frammenti di verità”.

Da qui la celebre affermazione “nulla di ciò che dico o che scrivo è vero come la mia scrittura”, mirata a sottolineare quel carattere di ricreazione della vita che è arricchimento della vita stessa e che solo l'arte è capace di raggiungere, a differenza del più sterile discorso politico e divulgativo o degli scritti teorici e sociali di cui essa stessa è stata, comunque, autrice ragguardevole. Il valore della “scrittura” risulta fortemente collegato alla natura stessa dell'essere, come affermato nella prima parte del libro, la più importante, quella centrata sull'ancestrale rapporto arte/vita. Se la realtà si costruisce partendo da molti elementi “visti e non visti, espressi e lasciati inespressi”, occorre accettare che la vita sia un concetto “aleatorio” e che l'essere risulti “costantemente trascinato e modellato dalle circostanze e da diversi livelli di coscienza”.

Allo stesso modo occorre ricercare un tipo di scrittura che assuma questa legge intrinsecamente nel suo contenuto, come nella sua forma: “non esiste un puro stato dell'essere e di conseguenza non esiste un testo puro, un testo 'reale' che incorpori totalmente l'aleatorio”. Ed è proprio per questo che, nel suo mirabile e originalissimo pensiero, “uno scrittore professionista è un dilettante che non ha mai smesso di scrivere”.

 

 

15-07-2014 | 12:38